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a capo [prontuario]

di Stefano Telve - Enciclopedia dell'Italiano (2011)
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a capo [prontuario]

Stefano Telve

Definizione

L’a capo (o accapo, nome maschile invariabile) si ha quando in un testo scritto la frase è seguita da uno spazio bianco fino alla fine della riga. Spesso, ma non necessariamente, la riga di testo successiva che segue l’a capo comincia con un rientro tipografico.

Sinonimo di a capo è capoverso, talvolta confuso con paragrafo (per via dell’inglese paragraph): questo termine, oltre che il segno grafico, indica invece una sezione, preceduta da una riga bianca e spesso numerata e/o titolata, di cui si compone il capitolo. Con accezione estensiva, si intende con capoverso anche la porzione di testo compresa tra due a capo.

Significato e funzione

L’a capo può dunque essere considerato un ‘superpunto’, ovvero un segno paragrafematico (➔ paragrafematici, segni) che svolge la stessa funzione del ➔ punto per porzioni di testo più ampie della frase e del periodo, secondo quanto riconosciuto già dai primi grammatici dell’italiano (Serianni 2007: 56-60). Nel suo trattato grammaticale intitolato Avvertimenti della lingua italiana sopra ’l Decamerone (1584) il fiorentino  ➔ Lionardo Salviati distingue, ad es., vari tipi di punto, e il più forte, detto punto trafermissimo, viene contrassegnato dalla maiuscola e per l’appunto dal capoverso.

La prospettiva ‘testuale’ introdotta da Salviati è ripresa dai trattatisti dei secoli successivi, tra i quali Daniello Bartoli. Chiudendo il trattato Dell’Ortografia italiana (1674) con un paragrafo dedicato al capoverso (termine che, come nota l’autore, era allora un tecnicismo della tipografia: «Così chiamo con gli stampatori il tornar la scrittura da capo»), il Bartoli osserva che gli antichi non usavano l’a capo e che, viceversa, alcune lettere commerciali d’ambito tecnico ne abusano, riducendo «in minuzzoli la scrittura» (cit. da Marazzini 2008: 143-144).

Di là dai benefici risvolti pratici (la pagina risulta visivamente più leggera e dunque meno faticosa per la vista), l’espediente grafico dell’a capo riflette la struttura del discorso, evidenziando un momento di passaggio dall’argomento che ha dominato il capoverso precedente a un argomento diverso. La progressione del discorso segnata dall’a capo è particolarmente evidente quando la nuova porzione di testo è accompagnata da ➔ connettivi testuali e da ➔ incapsulatori, che trovano nell’a capo uno dei luoghi deputati.

Usi attuali

L’uso dell’a capo è oggi rispettato in tutta l’editoria a stampa, nei testi argomentativi (saggistica), narrativi (romanzi) e informativi-descrittivi (guide, testi scolastici) (➔ testo, tipi di). Svolge una funzione tecnica nei testi legislativi, dove, insieme ad altri segnali (il rientro iniziale e il punto fermo finale) individua il comma.

L’a capo è frequente anche nella stampa giornalistica, sebbene ragioni di editing, ovvero di segmentazione materiale del testo, possano a volte condizionarne l’uso, soprattutto nei quotidiani, più di quanto non facciano le motivazioni sintattico-testuali.

L’esigenza di rendere più agevole la lettura è particolarmente sentita nell’editoria web, dove l’allestimento della pagina deve tenere conto del maggiore affaticamento visivo che provoca la lettura allo schermo: insieme a frequenti a capo (nell’editing web perlopiù senza rientro) si ha dunque molto spesso anche il paragrafo (Gualdo 2007: 62). Talvolta, come ad es. nei siti dei maggiori quotidiani nazionali, le prime parole del capoverso possono essere evidenziate dal grassetto.

Fuori dall’editoria a stampa o web, il capoverso è importante in qualsiasi tipo di scrittura attenta alla forma, oltre che naturalmente in alcune tipologie testuali standardizzate (tipicamente la lettera, dove figura dopo l’allocuzione iniziale e prima del commiato, e alcune scritture burocratiche: cfr. Cortelazzo & Pellegrino 2003: 52-55; Del Fiorentino 2003: 161-166; Raso 2005: 64 e 106-111; ➔ lettere e epistolografia; ➔ burocratese; ► stile epistolare).

L’uso dell’a capo ha una buona tenuta anche nelle lettere formali o mediamente formali della posta elettronica (➔ posta elettronica, lingua della); è invece più raro l’uso del rientro dopo l’a capo che segue l’allocuzione iniziale.

Da ricordare, tra gli ambiti tecnici, quello letterario e, nella fattispecie, poetico (➔ lingua letteraria; ➔ lingua poetica). Nella poesia italiana tra secondo Ottocento e primo Novecento, ma anche successivamente, viene meno il tradizionale contrassegno del testo poetico − il verso metricamente e ritmicamente codificato racchiuso in definiti schemi strofici e rimici (➔ versificazione) − e a contraddistinguere formalmente la poesia rimane spesso il solo a capo (o il ➔ ritmo) interno del verso, con valore «di sottolineatura di uno scarto sintattico, di balzo logico, di caduta o impennata, comunque di stacco tonale ecc.» (Menichetti 1993: 454). È quanto accade, ad es., in «che funghisce su sé [...] – / Il vento del giorno» (Eugenio Montale, “Voce giunta con le folaghe”, in La Bufera). L’a capo è sfruttato come risorsa stilistica anche da alcuni prosatori tra Ottocento e Novecento (Federigo Tozzi nelle novelle, Scipio Slataper in Il mio Carso, Silvio D’Arzo in Casa d’altri; cfr. Mengaldo 2003: 41 e Tonani 2008: 33-34).

Infine, si può notare che quando l’a capo non è una scelta dello scrivente − che, come è stato detto fin qui, passa alla riga successiva per ragioni sintattico-testuali o di allestimento della pagina stampata, come avviene anche negli elaborati scolastici più accurati − ma è reso necessario perché la scrittura è giunta alla fine del rigo, si ha la tendenza a evitare la divisione in sillabe della parola (► sillabe, divisione in). Ciò accade sia nella scrittura a penna (forse anche, nelle scuole superiori, per una competenza non sempre sicura delle regole di scansione sillabica: Serianni & Benedetti 2009: 166), sia nella scrittura al computer, i cui programmi di scrittura privilegiano l’integrità della parola spaziando diversamente le lettere e le parole che compongono la riga. Si noti tuttavia che un testo videoscritto così composto viene spesso rielaborato nel passaggio alla carta stampata: l’editoria a stampa (libri, riviste, quotidiani) tende infatti a rispettare, tradizionalmente, la divisione interna in sillabe.

Vedi anche
testo Il contenuto di uno scritto o di uno stampato, ossia l’insieme delle parole che lo compongono, considerate non solo nel loro significato ma anche nella forma precisa con cui si leggono nel manoscritto o nell’edizione a cui ci si riferisce. Con valore restrittivo, il corpo originale di uno scritto, distinto ... sinonimia biologia Nella sistematica zoologica e botanica, la posizione in cui viene a trovarsi il nome di un taxon dichiarato sinonimo rispetto al nome riconosciuto valido dai sistematici competenti, o perché pubblicato regolarmente ma senza la descrizione dell’oggetto relativo, o perché pubblicato posteriormente ... letteratura In origine, l'arte di leggere e scrivere; poi, la conoscenza di ciò che è stato affidato alla scrittura, quindi in genere cultura, dottrina. Oggi s'intende comunemente per l. l'insieme delle opere affidate alla scrittura, che si propongano fini estetici, o, pur non proponendoseli, li raggiungano comunque; ... prosa Espressione linguistica orale o scritta, non vincolata dalle regole metriche e ritmiche proprie della poesia; il termine è riservato specialmente all’espressione letteraria. P. d’arte Nel linguaggio della critica letteraria, la p. tipica dei frammentisti, in voga in Italia negli anni precedenti e durante ...
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prontüàrio
prontuario prontüàrio s. m. [uso fig. del lat. tardo promptuarium «credenza, dispensa, magazzino», dall’agg. promptuarius «in cui conservare qualcosa», der. di promptus: v. pronto]. – 1. Libretto o manuale in cui sono esposte brevemente...
capo
capo s. m. [lat. caput]. – 1. a. La parte più elevata del corpo umano, unita al torace per mezzo del collo. È sinon. di testa (per i riferimenti anatomici, v. questa voce), che è termine più com. (non però in Toscana) anche per il capo...
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