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Baysikelran

di Umberto Mosca - Enciclopedia del Cinema (2004)
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Baysikelran

Umberto Mosca

(Iran 1989, Il ciclista, colore, 75m); regia: Mohsen Makhmalbaf; produzione: Mohsen Makhmalbaf per l'Istituto per gli Affari Cinematografici della Fondazione Mostaz'afan; sceneggiatura: Mohsen Makhmalbaf; fotografia: Ali Reza Zarrindast; montaggio: Mohsen Makhmalbaf; musica: Majid Entezami.

Nassim è un profugo afgano giunto in Iran con la sua famiglia. La moglie viene ricoverata in ospedale in gravi condizioni e necessita di una serie di cure urgenti e molto costose. Nassim è angosciato perché sa di non poterle pagare con il solito lavoro precario di raccoglitore di pietre, ma riceve la proposta di un organizzatore di spettacoli di strada. Informato del suo passato di ciclista, l'uomo propone a Nassim di pedalare su una bicicletta per un'intera settimana, in modo da attirare i grandi scommettitori della città. Assistito da suo figlio Jomeh e da un amico, Nassim inizia a pedalare giorno e notte, con qualsiasi condizione atmosferica. Sulla piazzetta della gara prendono posto un arbitro, alcuni medici e infermieri, gli scommettitori, una zingara che predice il futuro, gli spettatori paganti. Un giorno Jomeh, accompagnato da una piccola amica, si reca all'ospedale per dare speranza alla madre. Con il passare del tempo e con la resistenza di Nassim, anche le istituzioni politiche e la stampa iniziano a interessarsi all'avvenimento. Una notte Nassim perde i sensi, ma l'amico prende il suo posto senza che nessuno se ne accorga. Giro dopo giro, il ciclista porta a termine la sua sfida e, mentre i vincitori ritirano le loro quote, continua a pedalare come se non volesse smettere mai.

Baysikelran vinse il primo premio al Festival Internazionale di Rimini nel 1989, decretando l'ingresso di Mohsen Makhmalbaf nel panorama del cinema contemporaneo d'autore. Se la notorietà del regista in Iran era già notevole, come dimostra l'anno successivo Abbas Kiarostami nel suo Namā-ye nazdik (Close up), la prima affermazione all'estero Makhmalbaf la deve a questo film che appartiene alla fase 'sociale' (come egli stesso la definisce) del suo cinema. Insieme a opere come Dastforush (L'ambulante, 1987) e ῾Arusi-ye khubān (Il matrimonio dei buoni, 1989), Baysikelran segna l'abbandono della centralità del tema religioso dei primi film ed esprime il nuovo interesse dell'autore nei confronti dei problemi concreti della gente e l'intenzione di denunciare ciò che non funziona nella società iraniana presente. In particolare Makhmalbaf approfondisce il tema del conflitto tra giustizia e ingiustizia, a partire da una situazione sanitaria che non permette alla giovane immigrata afgana di ricevere gratuitamente nessuna delle cure necessarie alla sua grave malattia.

Al centro del film è dunque la condizione dell'immigrato come individuo senza diritti. I profughi afgani, verosimilmente in fuga da un Paese straziato dalla guerra tra sovietici e mujaddin, sono costretti a passare la notte nascosti in luoghi di fortuna, a fuggire all'arrivo dei corpi di polizia che puntualmente li braccano, ma soprattutto ad entrare nella rete del lavoro precario. Essi vengono sfruttati da datori di lavoro senza scrupoli, che approfittano della loro condizione disperata per impiegarli nelle mansioni più dure (come quella di raccogliere pietre all'interno di pozzi), con paghe da fame e senza alcuna misura di sicurezza. Uno sfruttamento che trova nell'esibizione circense di Nassim l'esito più clamoroso di un potere economico che non ha limiti nell'accanimento verso la miseria umana.

Seguendo gli spostamenti dei protagonisti attraverso la città alla ricerca dei soldi necessari, un po' alla volta lo spettatore può costruirsi l'immagine di un mondo segnato da estrema brutalità (in tal senso appaiono particolarmente efficaci le scene di un torneo a cavallo dove i giocatori si contendono il bottino con violenta rapacità) e da profonda disperazione (si veda il doppio tentativo di suicidio realizzato da un anziano e dallo stesso Nassim). Ed è proprio in questa fase iniziale del film che trapela il debito dell'autore nei confronti del cinema di Vittorio De Sica e in particolare di Ladri di biciclette, con l'utilizzo di una 'tecnica del pedinamento' dei personaggi che consente di mostrare una più ampia realtà sociale. La profonda influenza del neorealismo italiano (del resto sempre riconosciuta da Makhmalbaf nelle interviste) trova un ulteriore momento nella parte dedicata a Jomeh e alla sua piccola amica che insieme attraversano la città. Riaffiora, ancora, in certi passaggi musicali dall'accentuata tonalità epico-mistica, che rimandano al sopracitato capolavoro di De Sica, in particolare alla scena di padre e figlio che all'alba si recano al lavoro in bicicletta. Da sottolineare, in Baysikelran, è la presenza di una forte componente melodrammatica che trova nel commento musicale il suo agente principale. Questa soluzione espressiva ha il compito di sottolineare, a tratti anche in maniera struggente, il dramma del personaggio di Nassim, il dolore per la malattia della moglie che convive con la sua disperata determinazione a non arrendersi. In tal senso, l'impresa straordinaria compiuta dall'afgano diventa una metafora più ampia della condizione dell'uomo. Mentre intorno a sé accade di tutto (un'anziana esala l'ultimo respiro, una zingara che predice il futuro viene corteggiata, vi sono incidenti di piazza, manifestazioni politiche e proteste dei disoccupati), Nassim continua a pedalare, resistendo strenuamente al proprio destino di sofferenza. In tal modo, la sua azione diventa un po' alla volta un modello e un motivo di orgoglio per i lavoratori afgani, che iniziano a non accettare più le condizioni di sfruttamento imposte dai loro datori di lavoro.

Nelle intenzioni dell'autore la figura di Nassim diventa l'emblema di una piccola-grande rivoluzione, così come espresso con chiarezza dalla scena finale, in cui il ciclista continua a pedalare fieramente anche oltre la realizzazione del suo record. A seguire la sua azione c'è ora un operatore cinematografico che manovra il dolly. Si tratta di un finale dall'evidente intenzione metalinguistica, che se da una parte preannuncia le successive riflessioni sul ruolo del cinema nell'opera di Makhmalbaf (Salām sinema, 1995), dall'altra ne conferma l'attitudine a seguire l'uomo comune nella sua lotta quotidiana per la sopravvivenza.

Interpreti e personaggi: Moharram Zeynalzadeh (Nassim), Mohamad Reza Maleki (Jomeh), Esma᾽il Soltanian (organizzatore), Mahshid Afsharzadeh (zingara), Samira Makhmalbaf (amichetta di Jomeh), Firooz Kiyani (motociclista).

Bibliografia

Suze., Der Radfahrer, in "Variety", April 1, 1991; Mohsen Makhmalbaf, a cura di A. Barbera, U. Mosca, Torino 1996; B. Bénoliel, Le dernier des hommes, in "Cahiers du cinéma", n. 528, octobre 1998.

Vedi anche
sceneggiatura La ripartizione in scene di un’opera teatrale, cinematografica o radiotelevisiva e il testo in cui è fissata. ● Nella cinematografia, la sceneggiatura è l’ultima fase dell’elaborazione scritta del soggetto del film: infatti designa la costruzione della struttura narrativa del film che precede le riprese, ... Vittorio De Sica Attore e regista cinematografico italiano (Sora 1901 - Parigi 1974). Fu uno degli autori di maggiore rilievo della stagione neorealista del cinema italiano. Vinse l'Oscar per il migliore film straniero con Sciuscià (1948), Ladri di biciclette (1950) e Il giardino dei Finzi Contini (1972). Vita e opere. ... ospedale Edificio, o complesso di edifici, destinato all’assistenza sanitaria dei cittadini, adeguatamente attrezzato per il ricovero, il mantenimento e le cure, sia cliniche sia chirurgiche, di ammalati o feriti. 1. Cenni storici L’idea di riunire e curare i malati in luoghi particolarmente attrezzati sembra ... notte L’intervallo di tempo che corre fra il tramontare e il sorgere del Sole; si contrappone a giorno nel significato ristretto di intervallo di tempo tra l’alba e il tramonto. La durata della notte varia con la latitudine del luogo di osservazione e, in uno stesso luogo, con la declinazione del Sole (cioè ...
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