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FORMICHI, Carlo

di Paolo Taviani - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 49 (1997)
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FORMICHI, Carlo

Paolo Taviani

Nato a Napoli il 14 febbr. 1871 da Giuseppe e Vincenza Pisa, si era appassionato allo studio del sanscrito già prima di giungere all'università, dove lo continuò sotto la guida di M. Kerbaker, dal quale derivò la particolare capacità di coniugare l'interesse per la ricerca scientifica con la chiara esposizione e la piacevole divulgazione. Laureatosi in giurisprudenza presso l'università di Napoli nel 1891, nel 1892 prese parte al IX Congresso degli orientalisti a Londra. L'anno seguente si laureò in lettere, sempre all'università di Napoli, e subito intraprese l'insegnamento nel ginnasio di Reggio Calabria (1894-1895). Vinse successivamente la borsa di studio Gori-Feroni, a Siena, grazie alla quale poté frequentare i corsi di filosofia e di orientalistica tenuti dai professori D. Deussen e H. Oldenberg all'università di Kiel (1896-1897).

Rientrato in Italia, conseguì a Napoli, nel 1897, la libera docenza in filologia sanscrita, che esercitò all'università di Bologna dopo un ulteriore breve soggiorno di studio a Vienna, alla scuola di G. Bühler. Nel 1898 ottenne l'incarico per l'insegnamento ufficiale del sanscrito presso l'università di Pisa, dove rimase circa quattordici anni, divenendo prima professore straordinario (1902), poi ordinario (1905), e assumendo nel 1913 l'incarico dell'insegnamento di lingua inglese presso la Scuola normale superiore. Nello stesso anno venne chiamato ad occupare la cattedra di sanscrito all'università di Roma, ove rimase fino al 1941 - quando fu sollevato dal ruolo per raggiunti limiti d'età -, esercitandovi pure l'insegnamento per incarico di lingua e letteratura inglese.

L'Accademia dei Lincei gli aveva conferito, nel 1922, il premio reale per la filologia. Nel 1925 ricevette l'invito a tenere corsi di sanscrito nell'università di Viśbahāratī, in India; durante il soggiorno indiano ebbe modo di tenere conferenze anche in numerose altre università e in vari istituti culturali, presentando taluni suoi studi sul sanscrito, oppure illustrando la filosofia, la letteratura e l'arte italiana. Fu in questa occasione che R. Tagore lo chiamò ad impartire un corso di lezioni di sanscrito nell'Istituto Santiniketan, nel Bengala.

Nel 1928 tenne una serie di corsi e conferenze in Egitto. Nel 1929 fu nominato titolare della neoistituita cattedra di cultura italiana presso la University of California (Berkeley), da cui ottenne la laurea in legge honoris causa. Nello stesso anno fu tra i primi ad essere nominato membro dell'Accademia d'Italia, di cui fu pure vice presidente per la classe delle lettere.

Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia, il F. morì a Roma il 13 dic. 1943.

Il F. investì con la sua produzione numerosi aspetti della cultura indiana: affrontò soprattutto problemi di carattere filosofico e letterario, si cimentò in ampie sintesi storico-religiose, sviluppò lo studio delle dottrine politiche, offrì traduzioni di testi sanscriti e non mancò di curare talune edizioni originali di testi inediti. Fin dal principio la sua attenzione si concentrò sul pensiero indiano antico e sulle correnti speculative che si sintetizzarono e coagularono nel buddhismo, nello sforzo di individuare gli elementi fondamentali che avrebbero caratterizzato la cultura indiana dalle sue origini fino all'età moderna.

Si ricorderà innanzitutto il primo saggio di rilievo, uno studio specialistico delle Upanishad elaborato durante il soggiorno a Kiel sotto gli auspici del Deussen: Il primo capitolo della Brahma-Upanishad (Kiel-Leipzig 1897). Seguì, edito a Firenze nel 1910, un compendio delle teorie speculative indiane antiche e moderne, realizzato in collaborazione con F. Belloni-Filippi (Il pensiero religioso e filosofico dell'India). Una traduzione del maggior poema di Aśvaghosa (Aśvaghosa poeta del buddhismo) venne data alle stampe a Bari nel 1912, corredata da note illustrative concernenti tra l'altro alcuni confronti tra la teoria religiosa cristiana e quella buddhista. Sempre al buddhismo dedicò un volume nel 1913 (La dottrina di Gotama Buddha e i suoi valori umani, Roma), mettendone in evidenza e difendendone l'aspetto etico. Quattro anni dopo pubblicò un'opera divulgativa sulla storia delle religioni dell'India, che assai poco si discostava dalla semplice descrizione o dai più comuni canoni interpretativi (Cenni sulle più antiche religioni dell'India, Roma, 1917), mentre nel 1923 apparve un saggio di grande originalità intitolato Lo spirito scientifico del buddhismo (in Bilychnis, XXII [1923], 2-3, pp. 189-195), ove per la prima volta il F. dava uno sviluppo unitario alle sue tesi sul fondamento razionale di quella corrente del pensiero religioso, insieme con Apologia del buddhismo (Roma 1923; 3ª ed. 1939) edita nella serie delle "Apologie" di Formiggini.

Seguì Il pensiero religioso dell'India prima del Buddha (Bologna 1925), accolto da R. Pettazzoni nella sua collana "Storia delle religioni" (insieme con il Pettazzoni, il F. era a quell'epoca coeditore della rivista Studi e materiali di storia delle religioni).

L'opera, considerata la sua più completa e meditata, lo vede impegnato in un riesame di testi già noti della tradizione vedica e upanishadica, tale da consentire il recupero dei percorsi di "un pensiero dinamico che vietò alla casta sacerdotale di irrigidire la religione nel formalismo del culto", e che, nonostante la sua determinante importanza, non era stato adeguatamente rilevato dai ricercatori occidentali (p. VIII). Un originario "politeismo sgorgato spontaneamente dal cuore dell'uomo che osserva la natura e sente di dipendere da essa", attestato dalla tradizione vedica, sarebbe stato ridotto a convenzione dal formalismo culturale (ibid., p. 57) se non gli si fosse opposto un pensiero dinamico e laico grazie al quale "già nelle Upanishad non c'è più posto per gli dèi o per un Dio personale trascendente" (ibid., p. 286). Indice di questo confronto tra orientamenti speculativi sarebbe il doppio valore del concetto di "karman", già testimoniato nel X libro dei Ṛgveda dove al "karman"-sacrificio, funzionale alla casta sacerdotale, si sarebbe opposto il "karman"-azione, funzionale alla casta guerriera e futura conquista del pensiero laico. Dall'Atharvaveda, già riguardato da F.A. Weber e da M. Blomfield come il Veda della casta guerriera, l'elemento "dinamico e laico" si sarebbe riversato nelle Upanishad, che il Deussen aveva a suo tempo considerato come un prodotto di ambiente ksatriya, e successivamente nel pensiero del Buddha (ibid., p. 269), influenzando così tutta la cultura indiana fino ai giorni nostri, come starebbero a testimoniare l'opera e la figura di R. Tagore (ibid., p. 57).

Tra i moventi dell'originale interpretazione del F., già manifestati in embrione in Lo spirito scientifico del buddhismo, può essere annoverata una sua propensione a coniugare l'adesione all'ideologia allora vincente in Italia con la passione e la curiosità dotta dell'orientalista. Mettere in evidenza l'aspetto laico, dinamico e volto all'azione della cultura indiana, voleva essere anche un modo per avvicinare il più possibile il mondo delle Upanishad e del Buddha all'immaginario politico dell'Italia fascista. L'assunto certamente non favorì l'acquisizione delle più adeguate metodologie che la disciplina storico-religiosa forniva negli anni Venti (si pensi ad esempio alla scarsa influenza che ebbe su di lui lo storicismo comparativo di R. Pettazzoni). Era in effetti un tipo di approccio che meglio si confaceva a opere di argomento specificamente politico, pubblicate dal F. nel corso di tutta la sua attività di studioso (Gli indiani e la loro scienza politica, Bologna 1899; Salus populi, Torino 1908; Pensiero e azione nell'India antica, Roma 1914; I primi principii della politica secondo Kamandaki, Roma 1925). Ebbe tuttavia il merito di mettere in discussione, e con argomenti validi, molti dei luoghi comuni concernenti l'esotico oriente indiano.

L'orientamento interpretativo sopra considerato si confermò in un saggio del 1927, ove del buddhismo veniva messo in evidenza il carattere non-nichilistico (Il Nirvāna non è il nulla, in Bilychnis, XXX [1927], I, pp. 10-19). Del 1938 è una raccolta di studi sulla cultura indiana (Sette saggi indiani, Bologna) nel più originale dei quali, il terzo, viene messa a confronto la situazione del veterotestamentario Giobbe con quella del mahabharatiano re Yudhiṣṭhira per dimostrare che ad entrambi i testi sottenderebbe la medesima concezione dell'imperturbabilità delle scelte e dei giudizi divini. Nel frattempo, tra il 1932 e il 1933, con l'aiuto dell'allievo V. Pisani, il F. aveva curato l'edizione postuma di un'ampia traduzione italiana del Mahābhārata realizzata in più di cinquemila ottave dal suo maestro, M. Kerbaker (v. M. Kerbaker, Scritti inediti, Mahābhārata, II-VI, Roma 1932-39). Dalle riflessioni raccolte durante il viaggio indiano del 1925, e segnatamente in occasione dell'incontro con R. Tagore, scaturì un'opera pubblicata a Milano nel 1929: India e Indiani. Del 1942 è invece un compendio di storia del Giappone, dalle origini all'età moderna, che volge particolare attenzione alle dottrine religiose di quel paese e soprattutto al diffondervisi del buddhismo (Nippon, Roma).

L'altro settore in cui il F. esercitò l'attività di docente e di studioso fu quello della lingua e della letteratura inglese. Vi dedicò opere funzionali all'insegnamento universitario piuttosto che derivanti da ricerche autonome e originali: una Grammatica razionale della lingua inglese, I-II, Milano 1919-20; le Letture inglesi, I-III, ibid. 1917-19-23; saggi critici su Il re Lear (Lanciano 1924), su Guglielmo Shakespeare (Roma 1928) e su Roma nell'opera di Shakespeare (ibid. 1937): le traduzioni italiane dell'Otello (Napoli 1925), de I viaggi di Gulliver di J. Swift (Milano 1933, ristampata quattro volte fino al 1982) e dell'Amleto (Roma 1928).

In talune di queste opere minori è evidente la tendenza del F. a forzare il materiale documentario in funzione di costrutti determinati dal credo ideologico-politico. Sono esemplari in proposito i lavori su W. Shakespeare, nei quali il poeta inglese viene ridotto a una smagrita figura di cultore della romanità e nel contempo a nazionalista e governofortista irriducibile, secondo un'interpretazione che certo non reggerebbe alla verifica storica.

Scritti: Oltre a quanto citato, ricordiamo Gli studi di filosofia indiana, Roma 1910; Kālidāsa. La stirpe di Raghu, trad. it., Milano 1917; The political ideas of William Shakespeare, Cairo 1928.

Fonti e Bibl.: Necr. in Riv. degli studi orientali, XXI (1946), 1, pp. 117-120; India and Italy, a cura di R.M. Cimino - F. Scialpi, Rome 1974, pp. 156-159.

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