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MAGATI, Cesare

di Anna Rita Capoccia - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 67 (2006)
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MAGATI, Cesare (Liberato da Scandiano)

Anna Rita Capoccia

Nacque a Scandiano, presso Reggio nell'Emilia, il 14 luglio 1579 da Giorgio, di una famiglia di proprietari terrieri, e Claudia Mattacoda, e fu battezzato con il nome di Cesare Camillo. Le buone condizioni economiche gli consentirono, una volta conclusa l'istruzione inferiore, di recarsi a Padova per seguire gli studi di medicina. Trasferitosi poi a Bologna, il 23 apr. 1596 fu immatricolato in quello Studio, dove seguì l'insegnamento di G.C. Claudini, F. Rota e G.B. Cortesi. Il 16 dic. 1596 sostenne le prescritte conclusiones e il 28 marzo 1597 si laureò a pieni voti in filosofia e medicina.

Dopo la laurea si trattenne a Bologna per alcuni anni, compiendo il tirocinio presso i noti medici che aveva avuto come insegnanti. Trasferitosi a Roma per perfezionarsi nella pratica chirurgica, esercitò la professione presso l'ospedale di S. Maria della Consolazione che godeva buona fama nell'ambito del trattamento delle ferite. A Roma assistette all'applicazione di un nuovo metodo per curare le ferite, la "medicazione rara", attuata anche dal milanese L. Settala, metodo sul quale meditò lungamente: tale pratica, infatti, ubbidiva a una precettistica diversa rispetto a quella consigliata dagli autori seguiti nella medicina coeva.

Dopo diversi anni il M. rientrò in patria. Successivamente si stabilì a Ferrara, con la protezione dell'influente marchese di Scandiano, Giulio Thiene. Nel 1610 esercitava la sua arte nella città, ma desiderava insegnare chirurgia nello Studio: i docenti, tuttavia, contrari alle innovazioni da lui introdotte, lo ostacolavano. Grazie all'appoggio di Ottavio Thiene, figlio di Giulio, il M. riuscì a ottenere l'ambita cattedra nell'anno accademico 1612-13 e la tenne fino al 1617-18. Nel 1613 fu inoltre ingaggiato come chirurgo nell'ospedale ferrarese di S. Anna dove fu più volte richiamato all'ordine per eccesso di libertà di pensiero e di azione medica. Nello Studio di Ferrara l'insegnamento della materia era stabilito secondo la programmazione didattica delle università del periodo (primo anno de tumoribus, secondo de vulneris, terzo de fracturis). Formalmente il M. seguì l'impostazione tradizionale, pur insegnando ai discepoli il nuovo metodo di cura da lui applicato, oltre che a Roma, anche a Ferrara.

Lo studio approfondito della nuova pratica terapeutica culminò nell'opera principale del M., il trattato De rara medicatione vulnerum (Venezia 1616; poi ibid. 1676 e Lipsia-Amsterdam 1733). Esso è diviso in due libri più una Appendix de vulneribus sclopo inflictis. Una prima parte è dedicata a questioni metodologiche generali, alle argomentazioni contrarie e favorevoli al nuovo metodo, ai suoi principî fondamentali, alle differenze di trattamento delle ferite, alla critica dei metodi tradizionali. A partire dal capitolo XXXVII, il M. illustra il suo metodo avvalendosi, in alcuni casi, dell'autorità degli antichi autori.

La chirurgia italiana versava allora in un momento di crisi: la persistenza dei chirurghi empirici, infatti, screditava la professione, considerata come disciplina subordinata a quella del medico. Il M. cercò di risollevare lo statuto della chirurgia contrastando uno dei metodi più diffusi - che consisteva nello sfasciare quotidianamente le ferite, nel detergerle e medicarle con linimenti vari, quindi nel provocare la suppurazione - e prescrivendo un trattamento razionale che non ostacolasse, con le ripetute medicazioni, l'azione di risanamento compiuta dalla natura. Le difese naturali dell'organismo secondo il M. possono essere assecondate e stimolate attraverso la "rara medicazione". Esaminando da fisiologo il processo naturale di cicatrizzazione, egli consigliò di lasciare agire indisturbata la natura e di agevolarla attraverso l'occlusione perfetta della ferita con molteplici strati di medicazione, affinché l'aria non la infettasse, e attraverso l'applicazione, ogni cinque o sei giorni, di unguenti e di sostanze detergenti. Consigliava l'estrazione sollecita dei corpi estranei dalle lesioni solo nei casi in cui risultasse agevole farlo, aspettando, qualora accadesse il contrario, l'evoluzione spontanea che tendeva a farli fuoriuscire.

Nella prefazione al trattato, il M. sostiene l'ipotesi che la traumatologia sia la parte più antica della medicina, cioè riconosce a tale specializzazione una priorità storica e ribadisce l'infondatezza della netta distinzione attuata tra la medicina e la chirurgia, rispetto agli ambiti di competenza e agli oggetti di azione: egli considera, anzi, tale suddivisione un vero e proprio "infortunio" (p. 2). Il M., tuttavia, esercitò la chirurgia con una salda preparazione medico-clinica di base: dalla casistica riportata nello scritto, infatti, emerge che egli non considerava il trauma quale causa diretta della ferita, ma cercava di conoscere le concause di ordine medico che potevano incidere sul decorso e sulla guarigione.

Per quanto riguarda le ferite d'arma da fuoco, il M. avversa le due credenze comunemente diffuse - già contrastate da J. Lang, da B. Maggi e da A. Paré -, risalenti ai chirurghi tedeschi Hans von Gersdorf e H. Brunschwig, e asserenti sia l'ustione sia l'avvelenamento delle lesioni provocate dai proiettili (pp. 118-120). Il M., invece, considera tali ferite quali semplici contusioni e si avvale di argomentazioni derivanti dall'osservazione empirica degli effetti causati da un proiettile che colpisca diversi oggetti facilmente infiammabili. Le stesse lesioni, inoltre, non possono considerarsi velenose in quanto non lo sono né la polvere pirica né il piombo: esse vanno, dunque, curate con la medicazione rara.

La terapia medica consigliata dal M. sia nel De rara medicatione sia nei consulti medici, contrariamente a quella chirurgica, non si discosta da quella del suo tempo: un elemento relativamente nuovo che egli apporta in quest'ambito è l'uso delle acque termali per la loro azione abstergens (De rara medicatione, p. 46), seguendo in ciò l'insegnamento di G. Falloppia.

Le numerose citazioni di diversi autori, soprattutto antichi, dimostrano l'ampia conoscenza da parte del M. della letteratura scientifica coeva: in particolare, predominano i passi tratti dalle opere di Galeno, accanto a quelle aristoteliche e ippocratiche, dalle fonti arabe (Avicenna in particolare), dagli scritti di Celso e da quelli dei chirurghi medievali (Ugo e Teodorico da Lucca, Henri de Mondeville, Guy de Chauliac, Giovanni da Vigo), mentre sono poco presenti le opere di Giacomo Berengario da Carpi e di Gabriele Falloppia, pur trattandosi di autori assai diffusi nell'ambiente universitario frequentato dal Magati.

Già sacerdote, l'11 apr. 1618, il M. entrò a Bologna nell'Ordine dei frati minori cappuccini, prendendo il nome di Liberato da Scandiano; un anno dopo (11 apr. 1619) emise la professione dei voti a Ferrara. Avendo ottenuto dai superiori l'autorizzazione, compatibilmente con l'osservanza degli statuti dell'Ordine, a dedicarsi alla sua professione, il M. fu sempre molto occupato nell'esercizio di questa. Negli anni 1629-30, durante l'epidemia di peste, si impegnò nella cura dei confratelli nel convento di Bologna e trasmise i resoconti del suo operato nelle inedite Consultationes de risanatione a peste (cfr. C. M. medico e religioso, p. 68).

D. Sennert, nel Practicae medicinae liber (Wittenberg 1634), quindi nello scritto De Cesaris M.  methode iudicium (in Operum, V, Lugduni 1676, pp. 109 s.), rivolse una severa censura al M., giudicando il metodo da lui seguito fortemente dannoso per i feriti, in quanto, avversando l'autorità galenica e distinguendo tra vari tipi di lesioni e di infiammazioni, il M. riteneva di non dover ostacolare l'azione del "calore naturale" della ferita. La perspicace requisitoria di Sennert è soprattutto basata sull'autorità di Galeno anche per quanto riguarda il trattamento delle fratture, per le quali si prescriveva l'asportazione delle schegge di ossa, in contrasto con il metodo conservativo del Magati.

Alle obiezioni questi rispose nelle Considerationes medicae (Bologna 1637), pubblicate prima con il nome del fratello Giovan Battista, anch'egli medico, e restituite al M. nell'edizione postuma del Tractatus, quo rara vulnera curatio defenditur contra Sennertium (in De rara medicatione, Venetiis 1676, pp. 133-172), apportando diversi esempi tratti dalla sua esperienza professionale e riguardanti sia i vari tipi di contusioni sia le fratture sia le ulcere: egli ribadisce la contrarietà nei confronti della pratica della continua sfasciatura e della specillatura, che provocavano infezioni, e riafferma la piena validità delle sue osservazioni. Sennert, in seguito alla risposta del M., chiese un parere a G. Wesling, professore a Padova, che si dichiarò favorevole al Magati.

Nel 1645, tormentato da dolori alla vescica, il M. si recò a Bologna per sottoporsi ad alcuni controlli medici. Continuò a dedicarsi ai suoi pazienti fino al settembre dello stesso anno, quando, a causa dei sempre più frequenti malesseri, rinunciò ai continui spostamenti che l'esercizio della professione implicava. Nel 1647 dovette sottoporsi a un'operazione per togliere alcuni calcoli dalla vescica ma, a causa di una setticemia da intervento, morì il 9 settembre a Bologna, nel convento di Monte Calvario.

Nella prima metà del Settecento, D.A. Sancassani riportò alla luce il trattamento delle ferite del M. ne Il lume all'occhio (Forlì 1707) e nel Chirone in campo (Venezia 1708), dove rivendicò l'appartenenza al M. del metodo proposto da A. Belloste ne Le chirurgien de l'hôpital (Parigi 1698). Edizioni moderne: L'attività clinico-medica di C. M.: consulti tradotti, a cura di C. Castellani - N. Latronico, Milano 1959; Defensio contra Sennertum, a cura di M.C. Nannini, Milano 1963.

Fonti e Bibl.: G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, III, Modena 1783, pp. 108-114; S. De Renzi, Storia della medicina in Italia, IV, Napoli 1846, pp. 484-495; V. Putti, Alcune lettere di C. M., in Riv. di storia delle scienze mediche e naturali, XXXI (1940), pp. 134-139; E. Magni, C. M. e la sua riforma nella chirurgia, Bologna 1919; B. Schiassi, Frammenti di scienza odierna nell'arte antica del medicare: a proposito della concezione C. M., Roma 1941; I. Ghibellini, Manoscritti inediti di C. M. reperiti nell'Accademia dei Concordi di Rovigo, in Policlinico, sez. pratica, LIX (1952), 34, pp. 1143-1145; C. Castellani, Manoscritto inedito di C. M., in Minerva medica, XLVIII (1957), 96, pp. 1984 s.; L. Münster, C. M., Ferrara 1968; L. Stroppiana, Il metodo scientifico di C. M. nella cura delle ferite, in Medicina nei secoli, XIV (1977), 3, pp. 425-435; C. M. medico e religioso. Atti del Convegno, Scandiano, 1977, Roma 1978; G. Maconi, Storia della medicina e della chirurgia, I, Milano 1991, p. 226; A.S. Lyons - R.J. Petrucelli, La storia della medicina, II, Salerno 1992, p. 460; M.D. Grmek, Storia del pensiero medico occidentale, II, Bari 1996, pp. 401 s.; N.-F.-J. Eloy, Dict. historique de la médecine, III, Mons 1778, pp. 127-129; P. Capparoni, Profili bio-bibliografici di medici e naturalisti celebri italiani dal sec. XV al sec. XVIII, Roma 1932, I, pp. 78-81; Lexicon Capuccinum, Romae 1951, coll. 951 s.; Dictionary of scientific biography, IX, New York 1974, pp. 4 s.

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