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chieftaincy

Dizionario di Storia (2010)
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chieftaincy (o chefferie)


chieftaincy

(o chefferie) Il termine c., dall’inglese chieftain, ossia il capo-clan delle popolazioni gaeliche (Scozia e Irlanda), fu impiegato per indicare l’autorità locale in varie parti di Americhe, Asia, Africa e Oceania (equivalente portoghese di chieftain era cabocero). Nell’Africa subsahariana e nel Pacifico colonizzati, c. (in franc. chefferie) venne a designare l’insieme delle istituzioni politiche indigene che la conquista europea aveva privato della loro sovranità, ma che non aveva potuto o voluto eliminare, considerandole come forme fondamentali («naturali») di ordinamento delle società locali. Il colonialismo britannico riconobbe formalmente la c. nel quadro di un sistema di amministrazione indiretta (➔ ) applicato nelle colonie africane più importanti (Nigeria, Uganda, Costa d’Oro ecc.). La Francia fu meno favorevole ai capi, che tuttavia impiegò largamente e pragmaticamente, così come l’Italia, il Portogallo, il Belgio, la Germania. La formalizzazione coloniale della c. modificò e allo stesso tempo cristallizzò rapporti di potere preesistenti. Con la decolonizzazione la c. sembrava destinata a una rapida scomparsa, sostituita dalle istituzioni dei nuovi Stati-nazione. Invece le cosiddette autorità tradizionali mostrarono grandi capacità di resistenza e seguitarono a incarnare identità specifiche («etniche»). In piena rinascita in aree francofone in cui si era indebolita (Benin, Guinea Conakry), la c. è sempre fondamentale in molti Paesi (per es. Nigeria, Ghana, Sudafrica) e assume ruoli chiave nel provvedere rappresentanza politica alle comunità e nel gestire l’accesso alla terra. In alcuni contesti svolge ruoli di supplenza rispetto allo Stato.

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