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COLLI, Michelangelo Alessandro, barone

di Viviana Bertelli - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 27 (1982)
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COLLI (Colli Marchini), Michelangelo Alessandro (Michele), barone

Viviana Bertelli

Nato a Vigevano (Pavia) nel 1738 dal barone Giuseppe (i Colli Marchini - tale è il cognome completo - erano baroni del Sacro Romano Impero) e da Clara Cattaneo, militò sin da giovane al servizió dell'imperatore percorrendo rapidamente le tappe della carriera militare, grazie anche alla benevolenza del maresciallo Laudon che egli seppe conquistarsi per l'abilità e la competenza dimostrate durante le battaglie contro i Turchi. Infatti, messosi in luce già al tempo della guerra dei Sette anni, fu proprio nelle campagne militari contro l'Impero ottomano che egli poté mostrare le proprie capacità in qualità di maggiore del reggimento italiano Belgioioso. Ferito gravemente nella battaglia di Belgrado, fu talvolta costretto in seguito a farsi trasportare in lettiga sul campo. Quando il Regno di Sardegna si uni all'Austria nelle campagne antinapoleoniche, il C. fu distaccato al comando dell'armata piemontese dove si distinse particolarmente fra i generali austriaci e sabaudi. I maggiori successi contro l'invasione francese nella contea di Nizza si dovettero appunto a lui, tanto che il re di Sardegna Vittorio Amedeo III gli fece solenni congratulazioni, inviandogli una lettera personale datata 29 giugno 1793. Nel 1794 il C. assunse insieme con il generale Dellera il comando delle forze di Nizza. Il Carteggio tra l'arciduca Ferdinando d'Austria, governatore della Lombardia col generale Michele Colli, 1796-1796, edito da P. Pecchiai (in Miscellanea in onore di Giovanni Sforza, Lucca 1920, pp. 472-76), fornisce indicazioni sulle azioni di guerra tra il novembre 1793 e il maggio del 1796. In seguito, però, anche il C. fu travolto dalle truppe francesi: Napoleone con manovre fulminee nel marzo del 1796 si incuneava tra l'esercito piemontese del C. e quello austriaco del Beaulieu, isolando il primo e battendolo in una serie di scontri che indussero il re Vittorio Amedeo III a firmare l'armistizio di Cherasco.

In obbedienza alle clausole del trattato il C., in quanto generale al servizio dell'imperatore, fu costretto a lasciare il comando del corpo affidatogli. Poco dopo, per espressa richiesta di monsignore G. Albani uditore generale dello Stato pontificio, fu invitato ad assumere la direzione suprema dell'esercito papale. Il C., venendo da Trieste su una fregata inglese, sbarcò ad Ancona insieme con altri ufficiali e, resosi conto dell'insufficienza degli armamenti e degli uomini, ordinò immediatamente leve forzate, dirigendosi subito dopo a Roma, dove venne accolto con grandi onori e festeggiamenti. Pio VI infatti, con un breve del 4 febbr. 1797, lo aveva formalmente nominato comandante supremo delle truppe pontificie.

Tratta appunto di questo periodo la pantomima satirica rappresentata in quei giorni al teatro alla Scala di Milano e conosciuta col nome Ballo del papa, che ritrae il generale C. nell'atto di ricevere dal papa la spada di difensore della Chiesa.

Intanto già dal 31 gennaio Napoleone aveva dichiarato guerra allo State pontificio e l'esercito francese ne aveva varcato i confini occupando Faenza e Ancona. La situazione divenne insostenibile per l'esercito papale; lo stesso C. disperava della riconquista delle terre occupate, essendosi reso conto di non poter più contare sull'obbedienza delle truppe. Pareri contrastanti sono stati espressi riguardo alla partecipazione del C. alla battaglia di Faenza. Secondo il Pastor e il Botta egli sarebbe stato presente e si sarebbe salvato con la fuga; secondo il Mestica e il Baldassari invece si sarebbe trovato a Roma nel momento della battaglia e, direttosi verso Ancona, non vi sarebbe neppure potuto arrivare poiché le truppe pontificie erano già in ritirata. È certo comunque che l'episodio colpì fortemente i contemporanei; ne troviamo traccia, ad esempio, nell'Autobiografia di Monaldo Leopardi (nei Paralipomeni di Giacomo Leopardi questi, per rappresentare con più evidenza la fuga precipitosa dei topi, la paragonerà a due celebri fughe di soldatesche moderne, una delle quali è appunto questa dei papalini nel 1797).

Mentre, dopo la ritirata dell'esercito pontificio, il C. disponeva la difesa di Roma, un'adunanza del Sacro Collegio stabiliva di autorizzarlo a concludere un armistizio. Le condizioni preliminari poste dal Bonaparte per qualunque ulteriore trattativa imponevano il disarmo di tutte le truppe di recente costituzione e la partenza di tutti gli ufficiali austriaci, quindi dello stesso C., che comunque fece pressioni perché si concludesse la pace a qualunque costo, essendosi reso conto dell'impossibilità per l'esercito pontificio di sostenere altre offensive francesi. In obbedienza dunque al trattato di Tolentino Pio VI congedava gli ufficiali austriaci e, con il breve del 29 apr. 1797 Locum tenente Mareschallo Colli, esprimeva al C. il suo sincero rincrescimento per essere costretto a lasciarlo partire, assicurandogli una riconoscenza perpetua per quanto egli aveva fatto.

Sempre coerente alle proprie idee di rigido difensore degli ideali monarchici contro le idee giacobine e rivoluzionarie, il C., dopo la firma del trattato di Tolentino, passava al servizio del re di Napoli in qualità di addetto allo Stato Maggiore del generale Mack. La considerazione in cui venne tenuto può essere intuita da quanto scrive V. Cuoco, cioè che durante la guerra tra il Regno di Napoli e la Francia rivoluzionaria il C., nonostante non ricoprisse la carica di consigliere, fu invitato ad esprimere il proprio parere sul proseguimento della guerra.

Dopo il crollo del Regno di Napoli e la creazione della Repubblica partenopea il C. si trasferì a Firenze ricoprendo l'ufficio, fino all'occupazione francese, di inviato straordinario e ministro plenipotenziario imperiale prima e austriaco poi presso Carlo Ludovico di Borbone re d'Etruria. Anche dopo tuttavia continuò a vivere in Firenze, dove morì il 22 dic. 1808.

Fu talvolta erroneamente confuso col marchese Luigi Colli di Felizzano, tanto che nel Dizionario militare, edito a Torino nel 1868, al barone C. vengono attribuiti anche i servizi resi dal marchese di Felizzano nell'esercito francese.

Fonti e Bibl.: A. M.Raggi, La campagna austro-sarda del 1795 nelle lettere di un patrizio alessandrino, in Rassegna stor. del Risorgimento, XLI (1954), pp. 62 s.;V. Cuoco, Saggio storico sulla rivol. napoletana, Milano 1820, p. 71; C. Botta, Storia d'Italia dal 1789 al 1814, Italia 1826, II, pp. 143, 146, 155; P.Baldassari, Relazione delle avversità e patimenti del glorioso papa Pio VI negli ultimi tre anni del suo Pontificato, Modena 1840, pp. 177-260 passim; C. Cantù, Storia degli Ital., Palermo 1857-58, p. 613; N.Bianchi, Storia della monarchia piemontese, Torino 1878, II, pp. 116-428 passim; M. Leopardi, Autobiografia, Roma 1883, pp. 52, 62, 66, 77; Ch.-A. Costa de Beauregard, Un homme d'autrefois..., Paris 1886, pp. 270-392 passim, D.Carutti, Storia della corte di Savoia..., Torino 1892, pp. 226, 249, 371 s.; G. Mestica, La battaglia di Faenza e il gen. C., in Nuova Antologia, 16 ottobre 1901, pp. 115 s., 619 s., 623, 625; L. von Pastor, Storia dei papi, XVI, 3, Roma 1934, pp. 614, 616-619, 626; C. von Wurzbach, Biographisches Lexikon des Kaiserthums, Oesterreich, II, p. 411.

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baróne²
barone2 baróne2 s. m. [forse uso spreg. della voce prec.; o dal lat. baro -onis «cialtrone, zoticone»]. – Briccone, farabutto, furfante: «Ah porci» esclamò Perpetua. «Ah baroni!» esclamò don Abbondio (Manzoni); baron fottuto, espressione...
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