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dissenso

di Stefano De Luca - Enciclopedia dei ragazzi (2005)
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dissenso

Stefano De Luca

Gli atteggiamenti critici verso il potere costituito

Per dissenso si intende ogni forma di disaccordo, dai rapporti personali (in famiglia, a scuola, tra amici) a quelli sociali. Ma il significato più importante di questa parola si riferisce alla sfera pubblica e, in particolare, alla relazione con il potere. E poiché storicamente i grandi detentori di potere sono le Chiese e gli Stati, il problema del dissenso si è posto soprattutto in ambito religioso e politico

Dai dissenters ai dissidenti

I primi dissidenti ufficiali della storia furono quei calvinisti inglesi e scozzesi che, tra il 16° e il 17° secolo, non vollero riconoscersi nella Chiesa d'Inghilterra. Per tale ragione furono chiamati dissenters ("dissenzienti") e vennero perseguitati sino a quando il Parlamento inglese, nel 1689, varò il Toleration act, che rese liberi i vari culti protestanti. Il dissenso ‒ o, per meglio dire, il diritto al dissenso ‒ è dunque una conquista relativamente recente, che fu consacrata dalla Rivoluzione americana del 1776 e dalla Rivoluzione francese del 1789, con le quali si affermò il diritto alla libertà di religione e di pensiero. Si trattava di una novità dirompente: sino ad allora, infatti, la maggior parte dei governanti, dei pensatori politici e della gente comune era convinta che la diversità delle opinioni e delle fedi religiose avrebbe inevitabilmente condotto alla dissoluzione dello Stato.

Con le grandi rivoluzioni moderne ‒ di ispirazione liberale e democratica ‒ si affermò il principio contrario: non solo la varietà delle fedi e delle opinioni è ineliminabile, ma è anche qualcosa di positivo, che va tutelato, perché coincide con la libertà e permette il progresso. Ecco perché nelle società democratiche non ha senso parlare di 'dissenzienti': sul piano delle opinioni, esistono soltanto persone che la pensano diversamente, giacché non c'è alcuna istituzione che abbia il monopolio della verità; sul piano politico, esistono gli oppositori, che fanno sentire la propria voce nei parlamenti, sui mezzi di comunicazione e nelle piazze. Tutto ciò non può accadere nei regimi non democratici, dove i diritti di libertà non sono riconosciuti: chi la pensa diversamente, in questo caso, è un 'dissidente' e come tale viene perseguitato e represso.

Il dissenso nel mondo contemporaneo

Minacce, perdita del lavoro, arresti, torture e condanne a morte sono stati il tragico destino di coloro i quali, nel corso del 20° secolo, si sono opposti ai regimi dittatoriali. Ma se gli oppositori alle dittature di destra sono stati in genere chiamati antifascisti (antifascismo), il termine dissidenti è stato applicato soprattutto a coloro i quali si opposero, nella seconda metà del Novecento, ai regimi comunisti dell'Europa orientale. In genere, i dissidenti erano uomini di cultura: scrittori, filosofi, artisti, scienziati. In Unione Sovietica i più famosi furono lo scrittore Alexander Solženicyn e lo scienziato Andreij Sacharov. Anche se al tempo di Chruščëv vi fu una timida apertura ‒ che consentì a Solženicyn di pubblicare nel 1963 il romanzo Una giornata di Ivan Denisovič ‒ ben presto la morsa della repressione tornò a stringersi sui dissidenti, internati negli ospedali psichiatrici o inviati nei campi di concentramento (l'esistenza dei quali fu svelata al mondo dal romanzo Arcipelago Gulag, pubblicato in Occidente da Solženicyn nel 1973).

In Polonia il dissenso ebbe un'evoluzione particolare, perché si saldò con il movimento operaio, dando luogo ‒ negli anni Ottanta ‒ alla nascita del sindacato cattolico Solidarno´s´c, guidato dall'operaio Lech Walesa (che, dopo il crollo del regime, diventò presidente della Repubblica). In Cecoslovacchia dopo l'invasione del 1968 si sviluppò il movimento Charta 77, che reclamava il rispetto dei diritti umani e che ebbe i suoi leader nel filosofo Jan Patocka e nel drammaturgo Vaclav Havel (anche lui divenuto, dopo la dissoluzione del regime, presidente della Repubblica).

Anche nei regimi comunisti presenti in altri continenti (come Cina o Cuba) il dissenso è sempre stato represso: l'episodio più clamoroso si verificò nel 1989, quando il governo cinese mandò i carri armati contro le migliaia di studenti che manifestavano a favore della libertà sulla piazza Tien An Men di Pechino. In questi ultimi decenni il termine dissidente è stato applicato anche a tutti quelli che, negli Stati autoritari del Medio Oriente e del Sud-Est asiatico, si battono per la libertà e la democrazia.

Vedi anche
Aleksandr Isaevič Solženicyn Solženicyn ‹sëlˇʃïn'ìzïn›, Aleksandr Isaevič. - Scrittore russo (Kislovodsk 1918 - Mosca 2008). Compì studi scientifici, laureandosi in matematica e fisica e seguendo anche corsi di filosofia e letteratura; durante la guerra prestò servizio al fronte e fu decorato al valor militare. Arrestato nel 1945 ... opinióne pùbblica opinióne pùbblica Giudizio e modo di pensare collettivo della maggioranza dei cittadini, o anche questa maggioranza stessa. Il concetto di opinione pubblicap., intesa anche come sistema di credenze sulla cosa pubblica, nasce con l'idea moderna di democrazia rappresentativa, definita da J. Locke come ... Mao Zedong ‹mao zëtuṅ›. - Rivoluzionario e uomo di stato cinese (Shaoshan, prov. Hunan, 1893 - Pechino 1976). Nato da media famiglia contadina, passò la giovinezza nello Hunan, dove svolse varî mestieri e compì studî irregolari. Dal 1912 al 1918, presso la scuola normale di Changsha, si avvicinò alla cultura occidentale ... politica Il complesso delle attività che si riferiscono alla ‘vita pubblica’ e agli ‘affari pubblici’ di una determinata comunità di uomini. Il termine deriva dal greco pòlis («città-Stato») e sulla scia dell’opera di Aristotele Politica ha anche a lungo indicato l’insieme delle dottrine e dei saperi che hanno ...
Categorie
  • LINEE E TENDENZE POLITICHE in Scienze politiche
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Vocabolario
dissènso
dissenso dissènso s. m. [dal lat. dissensus -us, der. di dissentire «dissentire»]. – 1. Mancanza di consenso, di accordo; diversità di parere, di sentimento e sim.: esprimere, manifestare il proprio d. (anche con il senso di disapprovazione);...
criminaliżżazióne
criminalizzazione criminaliżżazióne s. f. [der. di criminalizzare]. – Il fatto di criminalizzare, di essere criminalizzato: c. del dissenso, della protesta; la c. dei movimenti, o degli iscritti a movimenti, estremistici.
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