GIACOMINI TEBALDUCCI, Giovanni Battista, detto Piattellino
Nacque a Firenze il 28 nov. 1507 da Lorenzo di Iacopo e da Costanza Ridolfi.
La congiura del 1466 contro Piero de' Medici - cui aveva partecipato anche il prozio del G., Piero di Tommaso - aveva causato la completa emarginazione della famiglia dalla vita politica. Nel periodo repubblicano (1494-1512) la famiglia fu poi riabilitata, come tutte quelle che, per motivi diversi e in diversi momenti, erano state penalizzate dai Medici. Zio paterno del G. era Antonio Giacomini Tebalducci, uomo d'arme incessantemente impiegato dal nuovo governo fiorentino nel 1495-1506 come commissario militare ed esaltato come eroe in seguito alla vittoria del 1505 a San Vincenzo, nei pressi di Campiglia Marittima, sulle truppe di Bartolomeo d'Alviano. Poco dopo però era stato travolto dalla caduta di Pier Soderini. Anche il padre del G., sebbene in misura minore, aveva più volte collaborato con il regime repubblicano in qualità di commissario militare, ma il ritorno dei Medici al potere aveva ricondotto la famiglia ai margini della vita pubblica, da cui doveva uscire, soltanto per breve tempo, durante il secondo periodo repubblicano, dal 1527 al 1530.
Niente si sa della prima giovinezza del G.: si può presumere, data la storia della famiglia, che avesse assimilato fin dai suoi primi anni sentimenti e idee fortemente antimedicei e avesse tratto dalle frequentazioni familiari una certa dimestichezza con le armi e le discipline militari.
La prima occasione per manifestare tali attitudini furono i disordini scoppiati a Firenze nel 1526, nel periodo d'incertezza seguito alla morte di Giovanni dalle Bande Nere: alcuni giovani antimedicei "non meno nobili che animosi" (Varchi, I, p. 115), tra cui il G., sotto la guida di Piero d'Alamanno Salviati "presero baldanza e sfidarono il bargello girando armati per la città"; ne nacquero dei tafferugli, in cui alcune guardie rimasero uccise, ma l'incerto clima politico e la debolezza dei Medici fecero sì che la giustizia non seguisse prontamente il suo corso. Di lì a poco il cambiamento di regime assicurò l'impunità ai responsabili.
La vita del nuovo governo fu, com'è noto, breve e agitata: nel 1529 il trattato di Barcellona tra Clemente VII (Giulio de' Medici) e l'imperatore Carlo V determinò un attacco congiunto contro Firenze, che fu cinta d'assedio dalle truppe imperiali. In un primo tempo la città resisté e tentò di rompere l'assedio, affidandosi all'intraprendenza di Francesco Ferrucci. Quando, dopo la rotta del Ferrucci a Gavinana, le speranze svanirono, con un estremo e disperato provvedimento il governo fiorentino decise di distribuire le armi ai cittadini. Questi si organizzarono in sedici squadre, una per ognuno dei gonfaloni in cui era divisa la città: ogni squadra provvide a scegliersi un capitano, poi confermato dal Consiglio degli ottanta. Uno dei sedici capitani dei gonfaloni fu il G., il quale, sebbene avesse sempre abitato nel gonfalone Leon Bianco del quartiere di S. Maria Novella, fu eletto capitano del gonfalone del Carro. Dopo pochi giorni vi fu l'inevitabile resa della città.
Dopo la capitolazione, la Balia che deteneva provvisoriamente il governo decretò la non punibilità dei capitani e dei fanti appartenuti alla milizia cittadina, ma più tardi, nel novembre 1530, quelli di loro che erano ritenuti più decisamente antimedicei furono condannati all'esilio, con l'accusa di aver incendiato la villa medicea di Careggi.
Tra di loro ci fu il G., insieme con i fratelli Iacopo e Niccolò e tre cugini, tutti confinati per tre anni fuori del dominio fiorentino. Nel 1533 il bando fu rinnovato. Al contrario dei parenti il G. non deve aver rispettato i termini della condanna perché poco dopo fu dichiarato ribelle e i suoi beni furono confiscati e poi venduti; poiché non era ancora avvenuta una precisa ripartizione del patrimonio con i fratelli, questi ultimi poterono entrare in possesso anche della parte del G., versando al governo la somma di 250 scudi d'oro, corrispondente alla stima del valore di tale quota.
Non si conoscono gli spostamenti del G. dopo il bando; probabilmente, mentre il fratello Iacopo si stabiliva a Fermo (vi era ancora nel 1542 quando I. Nardi gli inviava la sua biografia dello zio Antonio Giacomini), il G. non ebbe mai fissa dimora: si unì al gruppo dei fuorusciti fiorentini che tra Roma, Venezia e la Romagna cercavano di guadagnare appoggi alla loro causa, intesa a rovesciare il regime del duca Alessandro de' Medici. Anche chi, come il G., sentiva fortemente il rimpianto per il regime repubblicano ritenne opportuno far fronte comune con la maggioranza degli esuli che, coscienti di quanto utopistico fosse ormai aspirare alla restaurazione del regime "popolare", si accontentavano di propugnare la sostituzione di Alessandro con il cugino, Ippolito de' Medici.
Anche il G. partecipò pertanto all'elaborazione del progetto da presentare a Carlo V, che prevedeva di sostituire Alessandro. Il progetto fu steso sotto forma di petizione da Silvestro Aldobrandini, già cancelliere dell'ultima Repubblica e poi bandito da Firenze, e sottoscritto dal G. e da altri fuorusciti. Molta fiducia il G. riponeva nell'opera di mediazione dei tre cardinali fiorentini Giovanni Salviati, Niccolò Ridolfi e Niccolò Gaddi, che dopo la morte di Clemente VII erano tra i principali riferimenti del fuoruscitismo fiorentino e dell'opposizione ad Alessandro de' Medici. Anche in occasione del raduno dei fuorusciti a San Domenico, presso Fiesole, indetto per decidere sul da farsi, il G. consigliò di non prendere alcuna decisione senza aver prima consultato i tre cardinali. Ma l'appoggio fondamentale venne da Filippo Strozzi, il facoltoso banchiere, che mise a disposizione degli antimedicei le sue ingenti ricchezze, oltre alle sue potenti relazioni.
La petizione fu presentata a Carlo V, a Napoli, ma non ebbe alcun esito. Del resto la morte di Ippolito de' Medici (1535) aveva vanificato il progetto.
L'assassinio del duca Alessandro, perpetrato nella notte tra il 5 e il 6 genn. 1537 dal cugino Lorenzino de' Medici, riaccese le speranze e rimise in moto le cospirazioni, soprattutto quando il gruppo degli ottimati più vicini ai Medici designò come successore del duca ucciso il giovanissimo Cosimo de' Medici. Nel luglio 1537 i principali esponenti del fuoruscitismo, tra cui il G., si riunirono presso Montemurlo, in una proprietà della famiglia Valori, aspettando l'arrivo di Piero Strozzi, figlio di Filippo, alla testa di un forte esercito arruolato con l'aiuto del re di Francia.
Con questo esercito ci si proponeva di attaccare di sorpresa Firenze, sperando poi nell'appoggio interno di quanti - e non erano pochi - mal tolleravano il regime mediceo. Ma i movimenti degli esuli non erano sfuggiti al giovane duca, che li fece assalire di sorpresa nella notte del 31 luglio da un forte esercito comandato da Alessandro Vitelli, prima che giungessero le truppe di Piero Strozzi.
Tra i primi a essere catturati e tradotti a Firenze ci fu il Giacomini. Interrogato dal bargello e costretto a confessare la sua cospirazione contro il duca di Firenze, fu condannato alla decapitazione insieme con Andrea Gherardini e Leonardo Ringhiadori. Il 4 ag. 1537 la sentenza fu eseguita in piazza della Signoria.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Raccolta Sebregondi, n. 2566; Ibid., Raccolta Ceramelli Papiani, n. 2333; Ibid., Otto di guardia e balia (periodo mediceo), 16, c. 108; Ibid., Capitani di Parte, Numeri rossi, 92, c. 27; Ibid., Manoscritti, 126: F. Settimanni, Diario, II, c. 110v; G. Cambi, Istorie, in Delizie degli eruditi toscani (Firenze), XXIII (1786), p. 88; B. Varchi, Storia fiorentina, Firenze 1843-44, I, p. 115; II, pp. 447, 570; III, pp. 115, 138.