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GIONA di Bobbio

di Paolo Chiesa - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 55 (2001)
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GIONA di Bobbio (Giona di Susa)

Paolo Chiesa

Nacque a Susa, in un anno imprecisato tra la fine del VI e l'inizio del VII sec. Ciò che sappiamo di lui lo ricaviamo quasi esclusivamente dalle sue opere.

Susa, da lui definita "urbs nobilis", per quanto decaduta rispetto al suo antico prestigio, doveva però godere ancora dei benefici della sua posizione strategica, che la rendeva punto di passaggio obbligato lungo le strade del Moncenisio e del Monginevro. Nei primi lustri del VII secolo l'intensa attività missionaria del monaco irlandese Colombano stava procurando nuova vitalità a queste vie, invero mai del tutto abbandonate: la Val di Susa costituiva uno dei collegamenti più semplici e sicuri fra i monasteri colombaniani in Borgogna (Luxeuil, Annegray, Fontaine) e in Italia (Bobbio).

Proprio a Bobbio (fondato nel 612) G., certo ancora giovanissimo, abbracciò la vita monastica, intorno al 617; questa data può essere ricavata indirettamente da un episodio che egli racconta (Vita Columbani, II, 5) con dovizia di particolari e che si riferisce a un evento di parecchi anni successivo.

G. narra che i suoi parenti avevano spesso chiesto all'abate Atala di permettere al giovane monaco di recarsi a Susa a trovarli; permesso che per molto tempo l'abate non aveva accordato. Solo dopo nove interi anni di permanenza, Atala aveva improvvisamente ordinato a G. di recarsi a far visita alla madre e al fratello, in modo del tutto inatteso e nonostante la stagione - si era di febbraio - tutt'altro che propizia; aveva imposto inoltre al giovane monaco di rientrare il più presto possibile, e davanti al suo tentativo di rinviare la partenza a epoca più favorevole gli aveva spiegato di non poter garantire che il viaggio avrebbe avuto luogo in seguito. G. dunque era partito, accompagnato dal presbitero Blidulfo e dal diacono Ermenoaldo; giunto a Susa aveva salutato i parenti, ma subito dopo, caduto improvvisamente ammalato, aveva chiesto di essere riportato quanto prima al monastero. Nel corso del viaggio, durato circa una settimana, G. aveva ripreso le forze; all'arrivo a Bobbio i tre avevano trovato l'abate in fin di vita, e avevano compreso che la misteriosa malattia causa del loro affrettato ritorno era stata miracolosamente inviata per farli rientrare prima che l'abate morisse.

La morte di Atala avvenne nel marzo di un anno che potrebbe essere tanto il 626 quanto il 627; la data dell'ingresso di G. a Bobbio verrebbe dunque a collocarsi fra la fine del 616 e l'inizio del 618. L'arrivo del giovane G. veniva a porsi poco tempo dopo la scomparsa di Colombano (che lì era morto il 23 nov. 615); di Atala, primo successore di Colombano, egli divenne aiutante, con delicati compiti di segreteria (fra i documenti affidatigli, G. ricorda una lettera del monaco scismatico Agrestio, che in seguito egli perdette per negligenza: Vita Columbani, II, 9). Notevole importanza G. continuò a rivestire all'interno del convento anche sotto il successore di Atala, Bertulfo: con lui fu a Roma nel giugno 628 per ottenere dal papa per l'abbazia l'esenzione e immunità da ogni giurisdizione vescovile, e in tale circostanza fu testimone della miracolosa guarigione dell'abate, che più tardi raccontò (ibid., II, 23). In seguito lo ritroviamo in Gallia, nel monastero colombaniano di Faremoitiers (Eboriacum), dove intorno al 633-634 assistette al decesso della monaca Gibitrude; quindi tornò a Bobbio, e qui ricevette da Bertulfo, non molto prima della sua morte (avvenuta nel 639 o nel 640), l'incarico di scrivere una vita di Colombano. Assolse questo compito nei tre anni successivi, durante i quali fu però impegnato soprattutto nell'evangelizzazione di popoli germanici al seguito del vescovo Amando.

Sulle sue vicende successive le informazioni sono scarse e difficili da interpretare. Nel prologo della Vita Iohannis Reomaensis G. compare con il titolo di abbas, e dichiara di aver composto il testo nel novembre 659 nel monastero di Réomé, dove sostò nel corso di un viaggio verso Chalon-sur-Saône, compiuto su incarico di Clotario III, re di Neustria e Borgogna, e di sua madre Batilde. Se la sua qualifica di abate è attestata anche da altre fonti, non si hanno però notizie certe sulla fondazione a cui era preposto: prive di consistenza appaiono le vecchie teorie che lo volevano abate di uno dei due principali monasteri colombaniani, Bobbio o Luxeuil, o di quello di Elnon, fondato da Amando; ma anche l'ipotesi, in apparenza più robusta, di una possibile identificazione di G. con quel Ionatus che, verso la metà del VII secolo, avrebbe guidato il monastero di Marchiennes, anch'esso legato ad Amando, incontra gravi difficoltà, come ha messo in rilievo Ileana Pagani. Ci si dovrà dunque limitare a osservare che G. divenne abate, probabilmente di un monastero gallico, e che fu in stretto rapporto con la famiglia reale.

Nulla sappiamo delle circostanze o della data e luogo della sua morte.

G. è stato definito l'unico scrittore degno di menzione nel VII secolo sul suolo italiano (Brunhölzl). La sua opera più importante è la Vita Columbani et discipulorum eius, che costituisce la principale fonte storica per la conoscenza delle vicende del santo irlandese e uno dei più significativi documenti agiografici dell'Alto Medioevo. L'opera ebbe grandissima diffusione e godette di notevole prestigio nell'ambito monastico (se ne conoscono una novantina di manoscritti, i più antichi dei quali risalenti al IX secolo) e sulla sua scorta G. venne considerato, fin dall'VIII secolo, fra i massimi maestri della letteratura agiografica. Di ben minore impegno e significato sono gli altri due testi a lui attribuiti: una Vita Vedastis, relativa a un antico vescovo di Arras, e la già citata Vita Iohannis Reomaensis, di qualche interesse come fonte per le vicende franche degli anni intorno al 540. Per la seconda la paternità di G. si ricava dal prologo, anche se non è chiaro quanto del testo si debba al suo effettivo contributo e quanto sia semplice ricomposizione di materiali preesistenti; per la prima l'attribuzione, che si deve a Krusch, è in certa misura ipotetica, e si fonda da un lato su affinità stilistiche e agiografiche, dall'altro sulla concomitanza temporale della composizione del testo e della presenza di G. nella regione di Arras.

La Vita Columbani è dedicata agli abati Boboleno di Bobbio e Waldeberto di Luxeuil e fu completata intorno al 642, dopo la morte di Bertulfo, che come si è detto l'aveva commissionata tre anni prima. L'opera è divisa in due libri; il primo comprende la sola vita di Colombano, il secondo quelle degli abati che gli succedettero a Bobbio (Atala e Bertulfo) e a Luxeuil (Eustasio), e inoltre un'ampia raccolta di miracoli occorsi nel monastero di Faremoitiers e alcuni altri episodi che hanno come protagonisti alcuni monaci di Bobbio. La suddivisione in due parti, delle quali la prima riservata a Colombano, risale senza dubbio all'autore, come indica esplicitamente il prologo dell'opera; meno chiaro è invece quale fosse la struttura originaria del secondo libro, che per le sue caratteristiche poteva configurarsi come aperto a successive integrazioni. G. afferma nel prologo che esso conteneva le gesta "discipulorum eius [cioè di Colombano] Atalae, Eusthasii vel ceterorum quos meminimus", formula apparentemente poco adatta a comprendere il complesso dei miracoli di Faremoitiers, che invece ne costituisce la sezione più corposa. In effetti questi Miracula, che nella tradizione manoscritta sono in genere collocati dopo la vita di Eustasio (l'aggancio è fornito dalla badessa Burgundofara, protagonista dei Miracula ma presente anche nella Vita Eustasii), mancano nel testimone più antico conosciuto (un manoscritto del Grand Séminaire di Metz, pubblicato da Tosi), e si potrebbe pensare a un loro inserimento successivo, sempre comunque a opera di Giona. Aggiunte progressive potrebbero essere anche la Vita Bertulfi, che è preceduta da un prologo che mal si adatta a un testo in continuazione di altri, e gli ultimi dei Miracula Bobiensia (II, 25), preceduti anch'essi da una formula di passaggio poco giustificata e assenti in una parte della tradizione manoscritta. Si potrebbe pensare così che il secondo libro dell'opera sia stato soggetto a successive integrazioni, pur sempre d'autore, che abbiano portato a un incremento del materiale originario; la presenza di un'aggiunta successiva sembra del resto potersi dimostrare anche per un episodio che figura nel primo libro (cap. 17, parte finale).

La Vita Columbani si presenta come un'opera di ampio respiro, senza confronti con il resto della produzione agiografica coeva "per livello letterario, ma soprattutto per impianto concettuale" (Pagani). I modelli dichiarati sono le grandi agiografie tardoantiche e patristiche (la Vita Antonii di Atanasio, quelle di Paolo e Ilarione composte da Girolamo, quella di Agostino di Possidio, quella di Ambrogio di Paolino, quella di Ilario di Venanzio Fortunato e le varie biografie di Martino); ma è stato messo in luce anche il grande debito che l'opera presenta con i Dialogi di Gregorio Magno. Inoltre, G. riprende vari elementi di tradizione irlandese, sia sul piano letterario (come nell'incorporazione all'inizio dell'opera di una descrizione dell'Irlanda in esametri ritmici, forse preesistente, e nell'aggiunta, alla fine del primo libro, di due inni a Colombano, in genere considerati dell'autore), sia sul piano agiografico. Gli episodi che coinvolgono i protagonisti, e Colombano in particolare, appaiono fortemente connotati di elementi di tradizione celtica, come l'integrazione fra l'uomo e la natura, la centralità del momento della morte, il ritorno del defunto caduto in catalessi, la potenza pericolosa delle virtù taumaturgiche. Minori si direbbero gli influssi delle agiografie merovingiche coeve, in genere di ben più modesto valore letterario, nonostante l'opera sia stata scritta da G. in massima parte in terra franca.

Si è a lungo discusso della conoscenza della cultura classica che G. potrebbe aver maturato a Bobbio o in una sua precedente formazione scolastica. L'unico autore antico che egli cita esplicitamente è un poeta cristiano, Giovenco; non si dà oggi alcun valore alla presenza di due possibili reminiscenze delle Historiae di Livio, testo rarissimo nel Medioevo, che appaiono troppo generiche e isolate per divenire probanti. Anche l'enumerazione di personaggi e scrittori della classicità che figura nel primo dei due inni che chiudono la Vita Columbani è in gran parte topica, e può essere derivata senza difficoltà da un manuale scolastico o da un'enciclopedia tardoantica, senza che si debba ipotizzare una conoscenza diretta dei testi. Che G. possedesse una discreta istruzione scolastica, sia pure non basata sullo studio dei classici, appare comunque evidente: il suo latino è relativamente corretto, più di quanto si riscontra nella massima parte dei testi merovingi coevi, ed egli dimostra una conoscenza non soltanto elementare della retorica. Il livello culturale che G. possiede costituisce così un'indicazione indiretta della permanenza della scuola nell'Italia settentrionale, dove avvenne la sua formazione, nei primi decenni del VII secolo.

Edizioni: Vita Columbani, a cura di B. Krusch, in Mon. Germ. Hist., Script. rer. German. in usum scholarum, XXXVII, Hannoverae 1905, pp. 194-294; Vita Vedastis, ibid., pp. 295-320; Vita Iohannis Reomaensis, ibid., pp. 321-344; Vita Walarici, a cura di B. Krusch, ibid., Script. rer. Meroving., IV, Berolini 1902, p. 163; Vita Praeiecti, a cura di B. Krusch, ibid., V, ibid. 1910, p. 225; Vita Columbani et discipulorum eius, a cura di M. Tosi, Piacenza 1965; Vie de saint Colomban et ses disciples, a cura di A. de Vogüe, Abbaye de Bellefontaine 1988.

Fonti e Bibl.: F. Stöber, Zur Kritik der Vita sancti Iohannis Reomaensis, in Sitzungsberichte der Phil.-hist. Klasse der Kaiserlichen Akademie der Wissenschaften in Wien, CIX (1885), pp. 319-398; G. Metlake, Jonas of B., the biographer of st. Columbanus, in The Ecclesiastical Review, XLVIII (1913), pp. 563-574; J. Leclercq, Un recueil d'hagiographie colombanienne, in Analecta Bollandiana, LXXIII (1955), pp. 193-196; P. Lehmann, Panorama der literarischen Kultur des Abendlandes im 7. Jahrhundert, in Id., Erforschung des Mittelalters, V, Stuttgart 1962, pp. 265 s.; J.F. Kenney, The sources for the early history of Ireland: ecclesiastical, Shannon 1968, pp. 203-205; S. Prete, La Vita s. Columbani di Ionas e il suo prologus, in Rivista di storia della Chiesa in Italia, XXII (1968), pp. 94-111; B. Löfstedt, Bemerkungen zur Sprache des Jonas von B., in Arctos, VIII (1974), pp. 79-95; F. Brunhölzl, Geschichte der lateinischen Literatur des Mittelalters, I, München 1975, pp. 187-190; I. Wood, The Vita Columbani and Merovingian hagiography, in Peritia, I (1982), pp. 63-80; I. Pagani, Ionas-Ionatus: a proposito della biografia di G. di B., in Studi medievali, XXIX (1988), pp. 45-85; A. de Vogüe, La mort dans les monastères: Jonas de B. et les Dialogues de Grégoire le Grand, in Mémorial Dom Jean Gribomont, Roma 1988, pp. 593-619; Id., En lisant Jonas de B. Notes sur la Vie de saint Colomban, in Studia monastica, XXX (1988), pp. 63-103; W. Berschin, Biographie und Epochenstil im lateinischen Mittelalter, II, Stuttgart 1988, pp. 26-48; Repert. fontium hist. Medii Aevi, VI, pp. 433 s.; Lexikon des Mittelalters, V, coll. 624 s.

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