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GIOVANNI da Arezzo

di Primo Griguolo - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 55 (2001)
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GIOVANNI da Arezzo

Primo Griguolo

Figlio di Donato, nacque probabilmente ad Arezzo nella prima metà del XV secolo. Ebbe in moglie una Nicola e per figlia Ludovica, che andò sposa - così riferisce un atto di dote del 25 nov. 1488 - ad Andrea Meneghini di Domenico da Siena.

L'identificazione di questo G., medico di origini aretine ma che esercitava la professione a Siena, con quello di cui tratta E. Garin (1950) è stata possibile grazie al confronto tra due documenti: una lettera inviata da G., in data 2 ott. 1474, da Siena al "magnifico et generoso viro domino Laurentio domini Petri de Medicis de Florentia, patri et domino meo" e una delibera, datata 26 dic. 1473, del Consiglio del Comune di Siena, con cui era accolta una petizione del "maestro Giovanni di ser Donato d'Arezo doctore de l'arte et medicina". Nella missiva G. informava Lorenzo di aver subito un furto da parte di un suo lavoratore, che era poi fuggito nel territorio fiorentino, rifugiandosi nella casa di Bernardo di Lupo Squarcialupi e recando con sé grano, biade, lino e altre sostanze. Chiedeva che venisse informato del caso il vicario di Certaldo perché intervenisse e fossero tutelati i suoi diritti ("la rasgion mia"). Ma quello che interessa è che il reato era stato commesso "in uno mio podere ch'è in questo di Siena in su li confini di Firençe" e che la casa dello Squarcialupi era "ad uno miglio" da quel podere. Nella petizione senese, approvata alcuni mesi prima di questi avvenimenti, G. affermava di possedere un terreno "in su la strada di Firenze per la via della Castellina di là da Quercia grossa", sul quale aveva in animo di edificare una casa di abitazione, che avrebbe reso meno selvatico e inospitale quel luogo e ciò "verebbe assicurare quello passo habitandosi et resultarebbene assai honore della magnifica cità di Siena". Chiedeva, pertanto, non solo il nulla osta per la costruzione ma anche "che quella caxa fusse taxata d'una taxa discreta". L'indubbia identità dei due personaggi che compaiono negli atti citati dirime una questione di fondo, che riguardava l'omonimia di G. con altri medici aretini di quel secolo (Giovanni Tortelli, Giovanni di Bartolomeo, Giovanni di Domenico).

G. esercitava la professione medica in Siena già nel 1453, perché in quell'anno il suo nome compare, come medico "fisico", in una condotta di medico chirurgo, affidata al "cerusico" Giovanni da Colle Valdelsa. Diversi anni più tardi, esternando le sue speranze a Lorenzo de' Medici, G. esprimeva il desiderio di lasciare Siena ("uscir qui di Siena") e il progetto di poter accedere con il suo aiuto a una cattedra presso l'Università di Pisa ("di condurmi a Pisa a leggere chome ò desiderio"). A questa supplica del 29 apr. 1473 faceva seguito la seconda, più insistita, del 14 dicembre dello stesso anno. In questa si diceva certo che la sua richiesta, relativa alla cattedra a Pisa, sarebbe stata accolta ("non rimarrò addietro"), non solo perché occorreva aumentare il numero dei docenti e sostituirli ("tutto dì bisognia crescere e mutare dottori"), ma soprattutto perché uno di questi doveva essere licenziato sia per l'età ormai decrepita, sia perché non sarebbe stato mai "chiaro né di voce né forse di ingegno". La supplica a Lorenzo de' Medici, caratterizzata da un tono stizzito, trattenuto appena dai convenevoli di rito, si chiude con un pressante invito a esaudire la richiesta di raccomandazione "però che rimarrei in gran vergogna ove io aspetto dala casa vostra honore e utilità chome anno gli altri vostri servidori".

Queste lettere, che non pare abbiano sortito l'effetto voluto, ci introducono all'opera del medico aretino. I due opuscoli scritti da G., conservati manoscritti a Firenze presso la Biblioteca Laurenziana, il De procuratione cordis (plut. LXXIII, cod. 29) e il De medicinae et legum prestantia (plut. LXXVII, cod. 22), furono redatti all'ombra del mecenatismo mediceo nella seconda metà del Quattrocento.

Il primo trattato è dedicato a Piero di Cosimo de' Medici, detto il Gottoso, e L. Thorndike ritiene che sia stato scritto prima del 1464. In esso non è dato cogliere alcun significativo avanzamento delle conoscenze mediche rispetto a quelle del periodo medievale. Nel trattare le virtù delle medicine G. segue le autorità del passato, in particolare Avicenna; crede nelle virtù occulte degli elementi e nell'influsso degli astri. I famosi antidoti, come la tiriaca, ricevono dall'influenza delle stelle una capacità occulta, che la loro semplice composizione non possiede. G. trova divertenti alcuni rimedi proposti da Plinio, ma ancora più strane sono certe cure che egli stesso propone. Nell'insieme le sue conoscenze non paiono andare oltre quelle già da lungo tempo rintracciabili nelle opere di Alfredo di Sareshel e di Pietro d'Abano.

Dedicato a Lorenzo è, invece, il secondo breve trattato sulla nobiltà delle leggi e della medicina, redatto nel 1469 nei giorni immediatamente successivi alla morte di Piero, il padre di Lorenzo de' Medici ("sed cum nobis modo moestissima et funestissima res obvenerit de obitu clarissimi tui parentis", p. 36).

Dopo la premessa, l'opera acquista la struttura di un dialogo tra l'autore e tre suoi interlocutori: il poeta laureato Carlo Marsuppini d'Arezzo, l'umanista fiorentino Niccolò Niccoli e Leonardo d'Arezzo "historicum et philosophum doctissimum" (p.40). G. esprime subito il suo intendimento: difendere la superiorità del sapere medico su quello giuridico. Come l'Historia tripartita scritta da Poggio Bracciolini nel 1450, a cui pare ispirarsi G., anche il De medicinae ha come obiettivo polemico le tesi esposte da Coluccio Salutati nel suo Tractatus de nobilitate legum et medicinae, composto nel 1399. Salutati riteneva che lo scopo delle leggi, che è la salvaguardia della società, fosse superiore a quello della medicina, che mira alla cura del corpo, e che l'honestas fosse superiore alla sanitas. G. gli oppose l'argomento secondo cui il sapere medico è fondato sull'immutabile natura, sull'essere e non, come il diritto, sulla mutevole volontà di pontefici, re e imperatori. Un debole ed esteriore empirismo sostiene le leggi; al contrario, è il metodo sperimentale che conduce alle conoscenze della medicina ("Nam est experientia particularis quaedam notitia e plurimis singularibus collecta"). Fondamento della medicina è la filosofia, per questo è poco considerata dal volgo, che reputa quella del medico solo un'attività empirica, perché come per i pipistrelli la luce, così agli ignoranti estranea e oscura è la teoria ("Medicina vero cum fundamenta a natura immutabili recipiat, atque etiam demonstrationis et experimenti semita gradiatur, verior sane scientia est"). Le leggi germogliano dalle opinioni e pertanto sono mutevoli; la medicina procede per via razionale e quindi è più stabile. Proprio per la sua debolezza la legge deve essere imposta, mentre l'evidenza del sapere medico è in grado di convincere da sé. Il De medicinae et legum prestantia è stato pubblicato come Trattato di Giovanni Aretino medico, intorno alla nobiltà delle leggi e della medicina, all'egregio giovane Lorenzo de' Medici, in La disputa delle arti nel Quattrocento, a cura di E. Garin, Firenze 1947, pp. 37-101.

Si ignorano il luogo e la data della morte di Giovanni.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Mediceo avanti il principato, filza 25, docc. 249, 291, 354; Arch. di Stato di Siena, Ospedale, 24, c. 103v; Diplomatico generale, 1473 dic. 26; 1488 nov. 25; G. Mancini, Giovanni Tortelli cooperatore di Niccolò V nel fondare la Biblioteca Vaticana, in Arch. stor. italiano, LXXVIII (1920), pp. 161-282 passim; L. Thorndike, Medicine versus law in late Medieval and Medicean Florence, in The Romanic Review, XVII (1926), pp. 8-31; Id., Some minor medical works of the Florentine Renaissance, in Isis, IX (1927), 1, pp. 29-43; Id., Science and thought in the fifteenth century, New York 1929, pp. 24-58; E. Garin, G. medico aretino, in Rinascimento, I (1950), pp. 101 s.; A. Garosi, Siena nella storia della medicina (1240-1555), Firenze 1958, p. 374; E. Garin, Storia della filosofia italiana, I, Torino 1978, pp. 276-278; Fonti per la storia del sistema fiscale urbano (1384-1533), a cura di P. Benigni - L. Carbone - C. Saviotti, Roma 1985, p. 202; Rep. fontium hist. Medii Aevi, VI, p. 279.

Vedi anche
Aristòtele Aristòtele (o Aristòtile; gr. ᾿Αριστοτέλης, lat. Aristotĕles, nel Medioevo latino Aristotĭles). - Filosofo greco (Stagira 384-83 a. C. - Calcide 322 a. C.). Fu, con Socrate e Platone, uno dei più grandi pensatori dell'antichità e di tutti i tempi. Nato da una famiglia di medici, si formò nell'Accademia ... medicina Scienza che ha per oggetto lo studio delle malattie, la loro cura e la loro prevenzione. 1. Generalità La medicina si distingue in: medicina interna, la scienza medica in senso stretto, ossia la clinica medica, che comprende lo studio delle malattie il cui trattamento terapeutico è prevalentemente ... legge diritto 1. Diritto costituzionale In via generale, l’atto di un organo (monocratico o collegiale) investito della cosiddetta funzione legislativa. A differenza della consuetudine, che nasce spontaneamente nella società, la legge è un atto volontario, caratterizzato dalla generalità e dall’astrattezza, ... Arezzo Comune della Toscana (384,5 km2 con 95.853 nel 2007), capoluogo di provincia. La città è situata a 296 m s.l.m., al margine meridionale di un’ampia conca appenninica che nella sua parte settentrionale è lambita dall’Arno e attraversata dal canale maestro della Chiana. Arezzo è costituita da due parti, ...
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