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GIOVANNI

di Luigi Andrea Berto - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 55 (2001)
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GIOVANNI

Luigi Andrea Berto

Secondo principe di Salerno di questo nome, era originario di Spoleto, dove nacque da Lamberto intorno alla metà del secolo X.

Prima di diventare principe di Salerno G. aveva la carica di conte di palazzo: in un documento del 980 è infatti menzionato con questo titolo. Si è ipotizzato che fosse stato mandato a Salerno da Pandolfo Capodiferro, principe di Capua e Benevento, il quale, nel 978, si era associato nel governo di Salerno al figlio Pandolfo, che era stato a sua volta in precedenza adottato dal principe Gisulfo, privo di eredi diretti.

La scarsità di fonti impedisce di sapere come G. pervenne al potere; l'identità dei personaggi che ressero la città cilentina prima di lui sembra tuttavia indicare che egli si pose a capo dei Longobardi di Salerno, i quali non desideravano che la loro città fosse dominata dagli Amalfitani. Alla morte di Pandolfo Capodiferro (981), Mansone, duca di Amalfi dal 958, privò del potere il figlio di questo, Pandolfo (II), e si fece proclamare principe di Salerno insieme col figlio Giovanni; l'anno seguente l'usurpazione fu convalidata dall'imperatore Ottone II. La grave sconfitta subita dall'imperatore contro i musulmani in Calabria nel 982 e la sua successiva morte nel 983 privarono però Mansone e suo figlio di un potente alleato. I Salernitani, approfittando della nuova situazione, cacciarono gli Amalfitani ed elessero come loro principe G., il quale associò subito suo figlio Guido al governo del territorio. La sommossa dovette avvenire probabilmente nel 983, perché il primo documento in cui G. figura insieme con Guido alla guida del Principato risale al gennaio del 984, primo anno, come è specificato nell'atto, del suo governo.

G., nonostante fosse riuscito a ottenere il titolo di principe, era tuttavia uno straniero residente a Salerno da poco tempo e quindi privo di forti legami con la società locale. Nel quadro della ricerca di legami più saldi con questa va visto il suo tentativo di intervenire nelle vicende della chiesa di S. Massimo, fondata nel secolo precedente dal principe Guaiferio e da questo lasciata in gestione agli eredi.

Nel corso del tempo l'istituzione era stata dotata di numerosi beni sia all'interno, sia all'esterno della città e i suoi terreni richiesti come suolo edificabile o usati per scopi agricoli con vari tipi di contratto. Il suo controllo avrebbe quindi dato a G. "l'opportunità di affondare più salde radici nella compagine sociale del principato da poco acquistato" (Ruggiero, p. 61). I documenti disponibili indicano che G. cercò di inserirsi nella gestione di S. Massimo tramite un suo uomo, lo scriba di palazzo Totone, al quale affidò l'incarico di advocatus di quella chiesa, carica che conferiva ampi poteri sull'amministrazione dei beni. Il particolare che nel 989 Totone fosse advocatus anche del vescovo di Paestum e dell'arcivescovo di Salerno pare indicare che G. tentò di estendere la sua influenza su tutta la Chiesa salernitana. Il suo progetto, almeno per S. Massimo, fallì, poiché dopo il 989 Totone non figurò più, eccetto per un'apparizione nel 994, tra gli advocati di quella chiesa che risultava ormai gestita da una ristretta cerchia di persone esercitanti i loro diritti in quanto possessori di alcune parti di essa, e non più in qualità di eredi del principe Guaiferio, e non disposte ad accogliere ingerenze esterne nella gestione dell'intero patrimonio.

Il fallimento dei progetti di G. pare essere evidenziato pure dal fatto che proprio verso il 989 decise, insieme con la moglie Sichelgaita, di contrapporre a S. Massimo una nuova fondazione, S. Maria detta in seguito "de Domno", che fu esentata dalla giurisdizione dell'arcivescovo di Salerno. Anche questa iniziativa fu contrastata, ma senza successo; nel 990 infatti l'abate Radoaldo, che nel 986 aveva ceduto l'appezzamento, ritenuto improduttivo, su cui in seguito era stata edificata S. Maria, contestò la costruzione della nuova istituzione religiosa in una zona urbana in cui erano già presenti altre chiese.

G. ebbe sei figli: il già menzionato Guido, Guaimario, Pandolfo, Lamberto, Giovanni e Pietro. Guido governò insieme con il padre fino al 988 - l'ultimo documento in cui sono menzionati insieme risale all'aprile di quell'anno - dopodiché, forse in seguito alla morte di Guido, tra il gennaio e il marzo del 989 G. si associò Guaimario. Questi succedette a G., morto nel 998.

Secondo una leggenda riferita da Pier Damiani, G. non lasciò un ricordo immacolato di sé, forse per la sua politica ecclesiastica. Pier Damiani infatti riferisce che, nel vedere un'eruzione del Vesuvio, G. esclamò che senza dubbio qualche ricco scellerato sarebbe morto in breve tempo e sarebbe finito all'inferno: la notte seguente, morì mentre si trovava con una prostituta.

Fonti e Bibl.: Romualdus Salernitanus, Chronicon, a cura di C.A. Garufi, in Rer. Ital. Script., 2a ed., VII, 1, p. 169; Pier Damiani, Opusculum IX, in J.-P. Migne, Patr. Lat., CXLV, coll. 438 s.; Codex diplomaticus Cavensis, II, a cura di M. Morcaldi - M. Schiani - S. De Stefano, Napoli 1875, nn. 364-368, 371-385, 387-393, 395-397, 399-406, 408-418, 420, 422-433, 435-458; III, ibid. 1876, nn. 460-524; Pergamene del monastero benedettino di S. Giorgio (1038-1698), a cura di L. Cassese, Salerno 1950, n. V pp. 48 s.; L.M. Hartmann, Geschichte Italiens im Mittelalter, IV, 1, Gotha 1915, pp. 80, 123; G. Gay, L'Italia meridionale e l'Impero bizantino. Dall'avvento di Basilio I alla resa di Bari ai Normanni (867-1071), Firenze 1917, pp. 336, 346, 355; C.G. Mor, L'età feudale, Milano 1952, I, pp. 386, 412, 420, 476; II, p. 182; M. Schipa, Storia del Principato longobardo di Salerno, in F. Hirsch - M. Schipa, La Longobardia meridionale (570-1077). Il Ducato di Benevento. Il Principato di Salerno, Roma 1968, pp. 171, 173-176; B. Ruggiero, Principi, nobiltà e Chiesa nel Mezzogiorno longobardo. L'esempio di S. Massimo di Salerno, Napoli 1973, pp. 5-52, 59-61, 64-66, 75 s., 88, 186-188; P. Delogu, Mito di una città meridionale (Salerno, secoli VIII-XI), Napoli 1977, pp. 126, 147, 156; H. Taviani-Carozzi, Pouvoir et solidarités dans la Principauté de Salerne à la fin du Xe siècle, in Structures féodales et féodalisme dans l'Occident méditerranéen (Xe-XIIIe siècles), Rome 1980, p. 603; Id., La Principauté lombarde de Salerne (IXe-XIe siècle). Pouvoir et société en Italie lombarde méridionale, Rome 1991, ad indicem; S. Palmieri, Duchi, principi e vescovi nella Longobardia meridionale, in Longobardia e Longobardi nell'Italia meridionale. Le istituzioni ecclesiastiche, Atti del II Convegno internazionale di studi promosso dal Centro di cultura dell'Università cattolica del S. Cuore, Benevento… 1992, a cura di G. Andenna - G. Picasso, Milano 1996, pp. 96 s.; G. Vitolo, L'organizzazione della cura d'anime nell'Italia meridionale longobarda, ibid., pp. 134 s.

Vedi anche
duca Titolo nobiliare che, nella gerarchia araldica, segue quello di principe. In età tardoromana il termine (lat. dux) individuava il detentore del potere militare in una o due province, ma dal Medioevo in poi passò a indicare colui che deteneva poteri militari e civili, con titolo e carica ereditari, in ... Latino Pacato Drepànio Pacato Drepànio, Latino (lat. Latinius Pacatus Drepanius). - Retore gallo (sec. 4º d. C.), amico di Ausonio e di Simmaco; capo di una legazione a Roma (389), pronunciò un panegirico di Teodosio, a noi giunto, interessante come documento storico. Normanni Nome («uomini del Nord») dato alle popolazioni che, nell’Alto Medioevo, abitavano l’Europa settentrionale (Svedesi, Norvegesi, Danesi), note anche come Vichinghi, termine che in realtà fa più correttamente riferimento alla fase più antica (7°-9° sec.) della storia di quei popoli, quando iniziarono a ... conte Titolo nobiliare che nella gerarchia araldica segue quello di marchese. ● A Roma, nell’età repubblicana, il conte (comes) assisteva e consigliava i magistrati preposti al governo delle province. Con Costantino il termine indicò una serie di pubblici funzionari: alcuni dirigevano importanti uffici centrali ...
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