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Il paywall salverà la carta?

di Mario Calabresi - Il Libro dell'Anno 2013
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Mario Calabresi

Il paywall salverà la carta?

Le principali testate giornalistiche mondiali devono fare i conti con una politica che non prevedeva limiti alle notizie diffuse gratuitamente sul web. Oggi la crisi globale impone nuove scelte: il pagamento dei contenuti digitali. L’opinione del direttore della Stampa.

Ultima edizione Financial Times

Nella seconda metà degli anni Novanta del secolo scorso, quando le principali testate giornalistiche del mondo hanno cominciato a creare i loro siti Internet, il modello di business del giornalismo era ancora solidamente alimentato dalle entrate pubblicitarie e dai ricavi di vendite e abbonamenti. Per questo nessuno pensò di far pagare l’informazione digitale, che fu vista per lo più come uno strumento promozionale, una modalità per raggiungere le nuove generazioni utilizzando un prodotto – le news – che era già abbondantemente ripagato dalle entrate del giornale di carta.

Per anni, il settore non avvertì la necessità di limitare la quantità di notizie che venivano distribuite gratuitamente sui siti web e che provenivano direttamente dalle edizioni cartacee. ‘Pagare’ per leggere notizie, così come per scaricare musica dalla rete, veniva visto come impraticabile da chi deteneva i diritti d’autore. Molto più semplice favorire il traffico sul web e cercare di raccogliere la pubblicità che il nascente settore digitale si portava dietro (poca e pagata male, rispetto alla carta). Fu l’industria musicale la prima ad accorgersi che la crescita della rete e la facilità di trasmissione di contenuti – anche quelli coperti da copyright – avrebbe messo fortemente in crisi il settore in breve tempo. Programmi di scambio gratuito di brani musicali come Napster fecero scattare l’allarme nelle case discografiche. Dopo una fase combattuta a colpi di azioni legali, una prima svolta per il mondo della musica arrivò dall’ingresso sul mercato di Apple, con il lancio dell’iPod che rese popolare l’idea di scaricare musica dalla rete a pagamento. Fu l’inizio di un cammino che permise al mondo della musica di ridare un valore ai contenuti d’autore e che oggi è sfociato in una miriade di servizi per la condivisione dei brani. L’industria editoriale, al contrario, ancora per qualche anno ha continuato a pensare di poter garantire informazione gratuita finanziata in larghissima parte dalle entrate dei giornali di carta: un modello entrato in forte crisi negli USA nel biennio 2007-09 e in seguito anche in Europa. L’inizio della grande recessione globale nel 2008 è stato l’acceleratore del cambiamento, rendendo impossibile alle aziende editoriali continuare a camminare sulle 2 gambe tradizionali: vendite in edicola e pubblicità cartacea.

La crescita dei lettori digitali ha ridotto progressivamente le diffusioni cartacee e fatto migrare ogni tipo di annuncio a pagamento sulla rete; la crisi economica ha dimezzato in meno di 5 anni gli annunci pubblicitari.

Questo combinato disposto ha costretto il mondo del giornalismo a ripensare le scelte fatte un decennio prima. Un momento di svolta, in questa riflessione, fu l’uscita nel febbraio 2009 sulla copertina del settimanale Time di un’inchiesta intitolata, significativamente, How to save your newspaper. A scriverla era stato lo scrittore e giornalista Walter Isaacson. La sua proposta era di alzare dei paywall sui siti dei giornali e introdurre, per le notizie, dei micropagamenti analoghi a quelli per la musica.

Fu l’inizio di un ampio dibattito sul ‘futuro dei giornali’ che prosegue ancora oggi e che non ha tuttora portato alla definizione di un modello di business convincente per l’editoria quotidiana di domani. I micropagamenti pensati da Isaacson non si sono rivelati la strada maestra per restituire valore ai contenuti giornalistici in versione digitale. Ma altri tipi di paywall sono stati introdotti da allora sui siti e sulle altre piattaforme digitali (tablet, smartphone) di grandi organi d’informazione.

In Europa c’è stata finora più resistenza a far pagare i contenuti digitali rispetto agli Stati Uniti, anche perché la crisi dei giornali è arrivata più tardi, ed europeo è il giornale che più di tutti difende il modello dell’informazione completamente gratuita, The Guardian. Il quotidiano londinese, grazie al progressivo aumento del traffico on-line, è ormai diventato uno dei 3 siti di news in inglese più letti al mondo, ma ha pagato la sua strategia con un forte deterioramento della circolazione dell’edizione cartacea e ha bilanci fortemente in rosso (garantiti però da un ricco trust).

La riflessione sul modello migliore per i giornali andrà avanti ancora a lungo, ma quello che sta emergendo come il più credibile è un modello misto in cui le news organizations – non si possono più chiamare solo quotidiani – raccolgono e distribuiscono informazione di qualità su tutte le piattaforme, cartacee e digitali, e vanno alla ricerca di ricavi su ciascuna piattaforma. Una sola fonte di ricavi non sembra più sufficiente a garantire da sola la sopravvivenza dei giornali, che stanno invece attrezzandosi a vivere in un sistema multipiattaforma. Esistono spazi per offrire contenuti esclusivi e di qualità per i quali chiedere una forma di pagamento. Ma non sembra delinearsi un sistema di micropagamenti, bensì forme di abbonamento integrate carta-digitale che permettano l’accesso ai contenuti ‘premium’ su web, tablet e smartphone.

Fermo restando che la stragrande maggioranza delle news è destinata a restare gratuita e condivisa sui social network, riservando il pagamento agli approfondimenti, alle analisi e ad altri contenuti ad alto valore aggiunto. Volendo sintetizzare con una formula, si può dire che delle 5 W tradizionali del giornalismo (who, when, what, where e why), le prime 4 sono ormai destinate a restare gratuitamente a disposizione di tutti. Sapere cosa è successo, dove e quando è ormai considerato qualcosa di naturale, gratuito, quasi un diritto fondamentale. I modelli di business del giornalismo del futuro si costruiranno quindi sulla quinta W (why?), sul perché delle cose, con l’aggiunta forse anche di how, ovvero sulla spiegazione del come sono avvenute. La sfida è rendere indispensabile, nel mare dell’informazione gratuita, la comprensione dei fenomeni e dei contesti. L’informazione potrà chiedere di essere pagata se saprà orientare le persone e offrire una griglia per capire il mondo e l’importanza di ogni singolo fatto.

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a la carte à la carte ‹a la kàrt› locuz. fr. (propr. «alla carta»), usata in ital. come avv. e agg. – Nelle espressioni mangiare à la carte, pranzo à la carte, scegliendo le vivande dal menu del ristorante (contr. di a prezzo fisso); anche...
paywall poroso
paywall poroso loc. s.le m. Nei siti Internet di giornali, pubblicazioni accademiche e simili, paywall che consente di aggirare parzialmente il limite di accesso ai contenuti. ◆  [tit.] Il nuovo sito del Manifesto / [sommario] È online...
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