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BAENA, Juan Alonso de

di Eugenio Mele - Enciclopedia Italiana (1930)
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BAENA, Juan Alonso de

Eugenio Mele

Nacque nei primi anni del sec. XV nella piccola città andalusa da cui prese l'appellativo. Di bassa origine sociale, parente stretto e forse nipote di Antón de Montoro, il mordace ropero de Córdoba, non vi ha dubbio che fosse giudeo, convertito, com'egli dice, al cristianesimo ed escribano nell'amministrazione di Giovanni II. Per la sua vita dissipata e il carattere sboccato della sua poesia, somiglia al Villasandino; e, come questi, per la sua facilità a versificare adoperando le combinazioni metriche più rare con profusione di rime, per la sottigliezza dell'ingegno che lo rese instancabile tenzonatore, fu ben visto e ricercato nelle corti di Enrico III e Giovanni II. Importuno, insolente, maldicente menava vanto che la sua lingua era barrena que taladraba y cercenaba cuanto fallaba, onde si rese temibile ad alcuni, inviso ad altri che lo ripagavano di egual moneta: tra gli altri, l'iracondo Ferrán Manuel de Lando. Aveva il Baena larga conoscenza di storia e filosofia morale; era conoscitore delle poetiche provenzali, e aveva idee proprie sull'arte della poesia, che dichiara nel proemio del suo Cancionero. Con gli anni si vide abbandonato e disdegnato dai suoi protettori, onde, vecchio, pieno di acciacchi e afflitto dalla miseria, si rifugiò nel suo paese natio, e di lì non si stancava di mandare suplicaciones o richieste di denaro al re, al conestabile e a tutti gli uffiziali e tesorieri della casa reale, ma, com'egli c'informa in tono lamentoso, i messaggeri suoi andavano e non tornavano o tornavano a mani vuote. Oltre i settantotto componimenti suoi inseriti nel Cancionero, altri e più importanti sono compresi in quello cosiddetto de Gallardo: notevole fra gli altri il poemetto in ottave da lui diretto a Giovanni II (nel 1443?), dove, con accento patriottico, denunziando i mali del regno e le scissioni che lo conducevano a sicura rovina, detta, per il debole monarca, massime di prudenza politica e di morale. È il migliore dei suoi componimenti e ha tratti di vera poesia; nondimeno i suoi meriti di raccoglitore hanno gettato nell'ombra la sua fama di poeta ed egli andrebbe confuso nella turba dei versificatori del sec. XV, se non ci avesse dato il corpus poëtarum di circa quattro regni (v. canzonieri).

Ediz.: v. le poesie del B. nel Cancionero del B., edito da P.J. Pidal (Madrid 1851) e da Fr. Michel (Lipsia 1860).

Bibl.: L. A. de Cueto (marquis de Valmar), in Revue des deux mondes, 15 maggio 1853; M. Menéndez y Pelayo, Hist. de la poesia castell., Madrid 1911-1913, I, pp. 422-25; J. Wolf, La liter. castell. y portuguesa, con note di M. Ménendez y Pelayo, Madrid, I, p. 231.

Tag
  • REVUE DES DEUX MONDES
  • FILOSOFIA MORALE
  • CRISTIANESIMO
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Vocabolario
de
de 〈dé〉 prep. [lat. de]. – Forma che assume la prep. di quando è seguita dall’articolo, sia che si fonda con questo (del, dello, della, ecc.), sia che si scriva divisa (de ’l, de lo, de la, ecc.) come talvolta nell’uso letter. (è comune,...
de auditu
de auditu locuz. lat. – Espressione corrispondente all’ital. «per sentito dire»: riferire de auditu. Anche, «per avere udito direttamente», nell’espessione giuridica testimone de visu et de auditu (v. de visu).
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