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LA FAYETTE, Marie-Joseph-Paul-Roch-Yves-Gilbert de Motier, marchese di

di Roberto Palmarocchi - Enciclopedia Italiana (1933)
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LA FAYETTE, Marie-Joseph-Paul-Roch-Yves-Gilbert de Motier, marchese di

Roberto Palmarocchi

Generale e uomo politico francese, nato al castello di Saint-Roch de Chavaniac (Alvernia) il 6 settembre 1757, morto a Parigi il 20 maggio 1834. Rimasto orfano a 12 anni, e ricchissimo, seguì la carriera delle armi e, ancora adolescente, ebbe un grado nel reggimento di Noailles. I modi freddi e gravi di L. F. non gli conciliarono le simpatie della corte, specie della regina. Nell'estate del 1776, a Metz, ebbe le prime notizie della dichiarazione d'indipendenza americana, e L. F., che univa a un idealismo fervente un'ostinata volontà d'azione, pensò fin dal primo momento a un intervento francese in soccorso degl'insorti, e si diede a preparare una spedizione. Fu impresa non certo mal vista, ma necessariamente combattuta dal governo e dai ceti conservatori della nobiltà, e L. F. dovette, per riuscire, mettere in opera tutto il suo entusiasmo e profondere senza risparmio la sua ricchezza. Il 26 aprile 1777 L. F. fece vela per l'America, e arrivò a Georgetown il 16 giugno. Accolto dapprima con freddezza, diede tante prove di disinteresse e riuscì così bene a far comprendere agli Americani il vantaggio che potevano ricavare da un intervento francese, anche se questo era fino allora ufficialmente sconfessato, che fu ammesso nell'intimità del generale Washington ed ebbe il comando di una divisione. Nelle operazioni militari si segnalò per notevole abilità strategica e grande coraggio. Intanto il governo francese s'era apertamente dichiarato contro l'Inghilterra; e quando L. F. tornò in patria (20 febbraio 1779), venne accolto come un trionfatore. Durante il suo soggiorno parigino egli fu l'anima di tutti i piani che si architettavano contro l'Inghilterra. Ma all'atto pratico non si poté fare altro che inviare in America un corpo di truppa, comandato dal Rochambeau. L. F., incaricato ufficialmente di preannunziarne l'arrivo, s'imbarcò l'11 marzo 1780 e giunse a Boston il 27 aprile. Rochambeau non arrivò che il 17 luglio. L. F. prese parte attiva alle nuove operazioni, che si svolsero specialmente intorno a New York, e finirono il 17 ottobre con la capitolazione di Cornwallis. Il 21 gennaio 1782, L. F. era di nuovo a Parigi. Considerato come una specie di rappresentante ufficioso degl'interessi americani, partecipò ai negoziati di pace in Francia e in Spagna, e nel 1784 fece in America un viaggio trionfale.

Tornato in Francia, L. F. cercò di applicarvi quelle idee di libertà e di uguaglianza che aveva sentite proclamare in America, e si fece campione di tutte le riforme. Nel 1787, mandato all'assemblea dei notabili, vi assunse un atteggiamento combattivo che suscitò l'ostilità della corte, e specialmente della regina. Domandò la convocazione di un'assemblea nazionale, affermando apertamente che si esigevano gli Stati generali "e anche qualcosa di più". Riuniti gli Stati generali, vi fu deputato per Riom. Fra i nobili progressisti che miravano a costituirsi in classe dirigente, sull'esempio inglese, egli rappresentò una tendenza più avanzata, per la collaborazione col Terzo Stato. L'11 luglio propose alla Costituente un primo progetto di Dichiarazione dei diritti. Fu nominato vice-presidente dell'assemblea, e dopo il 14 luglio, messo a capo della milizia borghese, organizzò la guardia nazionale, alla quale fece adottare la coccarda tricolore. Nella fiducia di poter dare alla Francia un nuovo assetto costituzionale, mediante una soluzione intermedia fra le tendenze repubblicane degli estremisti e l'assolutismo reazionario, L. F. non si lasciò scoraggiare dal fallimento dei suoi tentativi di accordare gli avversi settori dell'assemblea dopo la Dichiarazione dei diritti. Nelle giornate di ottobre, accorrendo a proteggere la famiglia reale, ed erigendosi a mediatore fra il popolo e il sovrano, egli assunse una specie di dittatura morale, con la quale cercò, attraverso l'opera di un ministero composto di suoi partigiani, e quella della Société de 1789 (il futuro club dei Foglianti) da lui fondata, di salvare quanto era possibile delle prerogative reali. La festa della Federazione, il 14 luglio 1790, segnò il culmine della sua popolarità. Ma ben presto questa, egualmente invisa ai due opposti estremismi, ai giacobini che volevano abbattere la monarchia e alla corte che vagheggiava una completa riscossa, e subdolamente osteggiata da Mirabeau, incominciò a declinare: i suoi tentativi di ricondurre la disciplina nell'esercito e il non aver saputo prevenire il tentativo di fuga del re, le diedero una grave scossa; la repressione del campo di Marte, il colpo decisivo. Nella Legislativa i fayettisti sedettero a destra con i lamethisti, ma la corte si appoggiò a questi ultimi e impedì la nomina di L. F. a maire di Parigi. Scoppiata la guerra, L. F. ebbe il comando di uno dei tre eserciti diretti contro l'Austria. Dal campo scrisse il 16 giugno 1792 un impetuoso manifesto contro i giacobini, e dopo le violenze del 20 corse a Parigi per protestare alla assemblea; ma fu accusato d'indisciplina e di aspirare alla dittatura militare. L. F. era adesso pronto a usare le armi per ristabilire la monarchia, ma la sua proposta che il re lo raggiungesse segretatamente a Compiègne fu respinta dalla corte. Dopo il decreto che proclamava la decadenza del re, L. F. si accorse che la rivoluzione si volgeva contro di lui, e decise di lasciare la Francia (20 agosto). Arrestato dagli Austriaci, dopo alcune soste in diverse prigioni, fu condotto nel maggio 1794 in quella di Olmütz, dove rimase più di tre anni. Liberato dopo Campoformio, il 18 settembre 1797, non gli fu permesso di rientrare in Francia, avendo aspramente disapprovato il colpo di stato del 18 fruttidoro. Ritornò in patria dopo il 18 brumaio, ma si oppose alla concessione a Napoleone del consolato a vita e della dignità imperiale. Perciò durante l'impero si astenne da ogni attività politica. Dopo la prima caduta di Napoleone, plaudì al ritorno dei Borboni, ma i realisti conservavano contro di lui l'antico rancore. Durante i Cento giorni, pur diffidando del liberalismo di Napoleone, dimostrò grande fiducia nell'opera della nuova Camera dei rappresentanti, della quale fu membro e vicepresidente. Dopo Waterloo, alla domanda di dittatura presentata da Napoleone, oppose quella mozione di difesa nazionale, con cui la borghesia liberale volle separare gl'interessi dell'imperatore da quelli della Francia. Negli anni che seguirono alla Restaurazione, L. F. fu tra i più ardenti oppositori della nuova politica reazionaria. Deputato nel 1818 e nel 1827, si mescolò al movimento liberale e carbonaro e a tutte le cospirazioni, pur senza compromettersi (complotto di Belfort). Divenuto sotto Carlo X capo dell'opposizione, ebbe parte preponderante nella rivoluzione di luglio, ma poi, trovato poco liberale anche l'indirizzo di Luigi Filippo, si distaccò da lui. L'ultima sua azione politica fu in difesa della rivoluzione polacca. Ebbe anche relazioni con patrioti italiani.

L. F. fu nella giovinezza il rappresentante tipico di quella nobiltà francese che accettò la rivoluzione, nella speranza d'inalvearla verso una soluzione di compromesso che abbattesse l'antico regime, ma salvasse la monarchia. Ebbe un religioso rispetto della legalità, al quale venne meno soltanto durante la Restaurazione, quando si lasciò influenzare dagli adulatori e dagli sfruttatori che lo circondavano. L'esperienza americana fu tutta la sua educazione politica, e gli fornì una specie di esemplare della libertà, che tutta la vita cercò di attuare in Francia, senza tenere conto della tradizione storica e della realtà sociale, profondamente diverse nei due paesi, e senza trarre alcun ammaestramento dai fatti. Amantissimo della popolarità, non le sacrificò mai le sue opinioni. Godette d'immenso prestigio, quando e finché l'azione politica aveva carattere negativo, e si trattava di abbattere un governo assoluto; ma la sua intransigenza ideologica lo condannava all'isolamento, quando bisognava ricostruire nella realtà.

Bibl.: Mémoires et correspondance du général L. F., Parigi 1838, voll. 6; H. Doniol, Histoire de la participation de la France à l'établissement des États-Unis d'Amerique, Parigi 1886-90, voll. 4; A. Bardoux, La jeunesse de L., Parigi 1892; id., Les dernières années de L., Parigi 1893; A. Charavay, Le général L. F., Parigi 1895; Lettres inédites du général L. au vicomte De Noailles écrites des camps de l'armée Américaine durant la guerre de l'indépendance des Étas-Unis, Parigi 1924; Delteil, Lafayette, Parigi 1928; A. romano, L., G. Pepe e l'Italia, in Rassegna stor. del Risorg., XX (1933), fas. 3; L. Gottschalk, Did the french Government aid L.'s American adventuer of 1777, in Résumés des communications présentées au VIIe Congrès international des sciences historiques, Varsavia 1933, pp; 161-164.

Vedi anche
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