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DA PORTO, Manfredo

di Mauro Scremin - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 32 (1986)
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DA PORTO, Manfredo

Mauro Scremin

Questo personaggio il cui nome è legato alla storia dell'eresia vicentina del Cinquecento va distinto da altri omonimi a lui contemporanei.

Infatti in questo secolo la famiglia Da Porto annovera tra i suoi membri un Manfredo Da Porto figlio di Giovanni Battista di Guidone (Giovanni Battista venne eletto giureconsulto di Collegio il 19 maggio 1519) e di Donella Da Porto. Di costui si sa solamente che prese in moglie Margherita Soderini. Un secondo Manfredo Da Porto risulta essere figlio di Giovanni di Francesco e della nobile bresciana Dorotea Gambara. Quest'ultimo, vivente nel 1520,abitava in contrà S. Stefano a Vicenza; si sposò una prima volta con Margherita Caoletta e una seconda volta con Paola Malaspina dalla quale ebbe i figli Giovanni Francesco, Donella ed Elena. Va comunque notato che questi risulta avere uno stretto legame di parentela con il D. eretico. Infatti era fratello del giureconsulto Federico Da Porto il quale non è altri che il padre del nostro Da Porto.

Del D. in questione non è noto l'anno della nascita (probabilmente gli ultimi anni del sec. XV), tuttavia si sa che nacque dal suddetto Federico e da Agnolina dal Nievo e che ebbe due sorelle: Anna, vivente nel 1541, presa in moglie dal famoso Ippolito Da Porto, condottiero di Carlo V e della Repubblica di Venezia, distintosi nella battaglia di Mühlberg contro i protestanti; Elena, vivente nel 1586, sposa del conte Paolo Da Porto figlio di Giovanni Battista. Il D. viene nominato per la prima volta nel diploma del 14dicembre del 1532 con il quale l'imperatore Carlo V a Bologna conferiva ad alcuni membri della famiglia Da Porto il titolo di conte di Vivaro e Val Leogra nonché cavaliere aurato. Appare nuovamente nel 1546 quando dovette sostenere una lite insieme al nobile Francesco Trissino contro il comune di Montecchio Precalcino nei pressi di Thiene. Infatti in questo periodo non sono infrequenti i casi in cui i "cittadini" di Vicenza erano protagonisti di usurpazioni ai danni dei "distrettuali", i quali a loro volta reagivano anche in maniera violenta. Nel nostro caso la convicinia di Montecchio, come viene testimoniato in un documento notarile, aveva provveduto a nominare come propri procuratori nella vertenza con il D. Marco Giostriero e Angelo Toso.

In questo periodo il D. sembra ormai aver fatto proprie quelle aspirazioni al rinnovamento religioso e mentale che erano legate all'intenso fermento intellettuale ed ai dibattiti che spesso in forma eclatante e provocatoria sconvolgevano la vita vicentina del tempo. Sono infatti gli anni in cui le novità religiose si affermavano nei circoli culturali vicentini, nelle "accademie", nei "redutti", alcuni divenuti anche leggendari, che a volte si raccoglievano nei palazzi nobiliari dei Pigafetta, dei Thiene e in alcune ville del territorio circostante. Un'ampia circolazione di idee, favorita dalla presenza di numerosi fuorusciti "religionis causa" (provenienti da Napoli e da Roma) e dagli echi dei dibattiti che provenivano dallo Studio di Padova, trovava riscontro in un ambiente favorevolmente disposto all'accoglimento delle nuove tematiche filosofiche e religiose. Proprio questo amore per le novità fece sì che il D., assieme al ben più famoso Iseppo Da Porto suo cugino, si trovasse implicato nel primo processo a carico dei calvinisti vicentini. Come è noto ciò aveva preso le mosse da un'inchiesta promossa dai rettori di Vicenza nel 1547 a seguito delle rimostranze papali e delle preoccupazioni della Serenissima nei confronti di oscure congiure ai suoi danni. Il processo tuttavia non ebbe strascichi né dal punto di vista religioso né da quello politico. Anche per il D. questo fatto non parve comportare alcuna conseguenza nonostante avesse subito l'imprigionamento insieme col cugino Iseppo e ad altri membri di stimate famiglie aristocratiche vicentine.

Tuttavia a differenza di Iseppo, probabilmente di ben diversa levatura morale ed intellettuale, il D. negli anni seguenti scompare dalla scena. Di lui non si ha più traccia fino al momento della morte avvenuta nel 1555, pressappoco nella seconda metà dell'anno.

Dal testamento, rogato in data 7 luglio 1555, il D. risulta non avere preso moglie e neppure avere avuto figli. Nominava infatti proprio erede universale il nipote Alfonso figlio del famoso Ippolito Da Porto, non senza però ricordarsi del cugino Iseppo al quale lasciava 5.000 ducati, nonché delle sorelle Elena ed Anna alle quali destinava parte delle sue possessioni (probabilmente quelle site in Lerino e Thiene). Esecutori testamentari nominava i fratelli Ludovico e Francesco Trissino con i quali risultava particolarmente legato da amicizia. Analoga attenzione veniva rivolta ai propri servitori ai quali faceva alcuni lasciti "per amor de Dio" e raccomandava particolarmente al cognato Ippolito di tenere presso di sé il suo servitore Marco Finozzo "dal quale sarà illuminato de tutti li negotii miei per esserne instructissimo". Segno di particolare sensibilità religiosa fu anche la sua volontà di lasciare "alli poveri della misericordia ducati cento immediate dapoi la morte mia" e inoltre cinquanta ducati ai padri francescani di S. Biagio in Vicenza. Il suo corpo venne seppellito nella chiesa di S. Chiara accanto al padre Federico e alla madre Agnolina. Una lapide posta nella chiesa di S. Tommaso lo ricorda con le seguenti parole dedicate alla madre: "Mater ut optavi hic tecum post Fata quiesco Si tecum in caelo, sic mihi vera quies".

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Sant'Uffizio, b. 6; Arch. di Stato di Vicenza, Notai di Vicenza (Teseo Brogliano), b. 6534; Ibid., Not. Vic. (Zuane Todesco), b. 7447; Bibl. civica Bertoliana, ms. 3395: Girolamo da Schio, Memorabili, f. XLII;G. T. Faccioli, Musaeum Lapidarium Vicentinum, II, Vicenza 1776, p. 31; B. Morsolin, L'Accad. de' Sociniani in Vicenza, in Atti del R. Ist. veneto di scienze, lett. e arti, V (1878-79), pp. 473 s.; G. Mantese, Mem. stor. della Chiesa Vicentina, III,Vicenza 1964, p. 955; A. Stella, Utopie e velleità insurrez. dei filoprotestanti italiani (1545-1547), in Bibliothèque d'Humanisme et Renaissance, XXVII (1965), p. 143; Id., Dall'anabattismo al socinianesimo nel Cinquecento veneto. Ricerche storiche, Padova 1967, pp. 59 s.; Id., Gli eretici a Vicenza, in Vicenza illustrata, a cura di N. Pozza, Vicenza 1976, p. 256; M. da Porto Barbaran, La famiglia da Porto dal 1000ai giorni nostri, s. l. 1979, p. 216 (per gentile concessione della figlia Kathinka da Porto Barbaran in Seccamani Mazzoli).

Vedi anche
Padova Comune del Veneto (92,8 km2 con 210.173 ab. nel 2008), capoluogo di provincia. ● Si estende a O della Laguna veneta, a 12 m s.l.m., sul fiume Bacchiglione. È centro di antica origine, vivace per traffici e attività agricole, sia per la sua posizione tra il Brenta e il Bacchiglione, sia per la vicinanza ... moralità moralità Forma drammatica, diffusasi in Francia nel 15° sec., intessuta di figure allegoriche, a scopo di edificazione; drammi analoghi furono composti in inglese e in latino. Assunse anche carattere di satira, e il nome si estese a opere drammatiche che si staccavano dal teatro sacro per confondersi ... morte Cessazione delle funzioni vitali nell’uomo, negli animali e in ogni altro organismo vivente o elemento costitutivo di esso. antropologia 1. Il concetto di morte La morte, come ogni altro evento del ciclo della vita, impone a tutte le società complesse modalità organizzative, divenendo un fatto sociale ... Veneto Regione dell’Italia nord-orientale (18.399 km2 con 4.832.340 ab. nel 2008, ripartiti in 581 comuni; densità 263 ab./km2) compresa fra le Alpi Carniche a N, il Trentino-Alto Adige e il Lago di Garda a O, il Mincio e il Po a S, il Mar Adriatico e il Friuli-Venezia Giulia a E. Il capoluogo di regione è ...
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pòrto³
porto3 pòrto3 s. m. [lat. pŏrtus -us (della stessa radice di porta); propr. «passaggio, ingresso»]. – 1. Specchio d’acqua, per lo più marina, adiacente alla costa, più o meno ampio e protetto, di norma attrezzato con impianti fissi e...
omnia mea mecum porto
omnia mea mecum porto ‹òmnia ...› (lat. «tutto ciò che è mio lo porto con me»). – Frase attribuita dalla tradizione latina a diversi filosofi (soprattutto cinici e scettici) o scrittori greci (secondo Cicerone, sarebbe di Biante di Priene,...
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