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MOROZZO DELLA ROCCA, Carlo Filippo

di Andrea Merlotti - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 77 (2012)
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MOROZZO DELLA ROCCA, Carlo Filippo

Andrea Merlotti

– Nacque a Mondovì il 21 aprile 1586, figlio di Ludovico (1549-1611) e di Caterina Trombetta.

Membro di una delle più antiche famiglie nobili monregalesi, Ludovico aveva percorso una brillante carriera nella magistratura sabauda sotto i duchi Emanuele Filiberto e Carlo Emanuele I, giungendo nel 1600 alla carica di primo presidente del Senato. Al servizio togato aveva accompagnato quello di diplomatico (fu inviato a Parigi presso Enrico IV nel 1599 e presso papa Clemente VIII nel 1600) e di governatore (a Vercelli dal 1604 al 1610). Nel 1571 aveva sposato Caterina Trombetta, appartenente a una famiglia di giuristi monregalesi. Rimasto vedovo verso il 1590, nel 1593 si risposò con Girolama Radicati di Passerano (m. nel 1623).

Carlo Filippo si laureò in diritto all’Università di Mondovì (secondo Vittorio Angius [1857, p. 487] il 31 maggio 1607, secondo Gioacchino Grassi di Santa Cristina [1804, p. 114] il 27 maggio 1610). D’accordo col duca, il padre aveva organizzato le sue nozze con Francesca Biandrate di San Giorgio, esponente di una delle più importanti famiglie di corte. Legata a tale progetto fu la nomina di Morozzo a gentiluomo di camera (20 settembre 1611). Nel frattempo, tuttavia, Ludovico morì e i Biandrate decisero di rinunciare a quell’unione matrimoniale e Morozzo, quindi, riprese gli studi di diritto. Il 14 gennaio 1614 fu nominato prefetto di Mondovì, fatto inconsueto poiché il prefetto non poteva esser scelto tra le fila della nobiltà della stessa città. Lo stesso anno fu ascritto al Collegio dei dottori dell’Università di Torino. Nel 1617 rientrò nella capitale: il duca, infatti, lo aveva chiamato a far parte del Senato di Piemonte, con patenti del 24 aprile 1617. Due anni dopo, in giugno, sposò Ludovica Argentero di Bagnasco, nipote del vescovo di Mondovì, che celebrò personalmente le nozze. Collaterale nella Camera dei conti il 27 novembre 1619, divenne presidente nella stessa il 15 ottobre 1625. Grazie agli introiti del servizio ducale poté riorganizzare il proprio patrimonio feudale, acquistando, rispettivamente nel 1620 e nel 1628, i feudi di Roburent e di Morozzo (dal quale prendeva nome il suo casato, ma che da tre secoli non gli apparteneva più), entrambi con titolo comitale.

Dalle nozze con Ludovica Argentero, Morozzo ebbe cinque figli maschi. Morto prematuramente il primogenito Ludovico (1620-1642), l’eredità fu assunta da Carlo Francesco (1628-1699) che percorse una brillante carriera a corte, divenendo primo scudiere di Maria Giovanna Battista il 4 ottobre 1673, governatore del tredicenne Vittorio Amedeo II il 10 dicembre 1678, e gran maestro della Casa (la più alta carica curiale) il 4 maggio 1680. Svolse inoltre un’intensa attività diplomatica.

Vittorio Amedeo I, asceso al trono nel 1630 alla morte di Carlo Emanuele I, lasciando insieme alla corte la capitale – dove si era diffusa la peste – per Cherasco, incaricò Morozzo di stendere l’inventario dei beni del padre rimasti a Torino. Il nuovo duca riportò Morozzo in Senato, nominandolo il 21 aprile 1632 presidente con competenza per il contado d’Asti e marchesato di Ceva.

Risale a quel periodo la Lettera a Sua Altezza [il duca di Savoia] del signor presidente Morozzo sovra le ragioni che ella ha in Roccaverano, Olmo e Cessole (Torino 1633), in cui sostenne le ragioni ducali sui tre piccoli feudi imperiali (di cui i Savoia ottennero il possesso grazie al Trattato di Münster del 1648).

Intorno al 1630, rimasto vedovo, Morozzo sposò Caterina Lodovica Broglia di Santena (m. 1659). L’11 gennaio 1634 il duca lo nominò presidente in Senato per il marchesato del Monferrato e pochi mesi dopo gli affidò una delicata missione diplomatica in Lombardia, col compito di trattare con i plenipotenziari imperiali la pace con la Repubblica di Genova (si veda, a questo proposito, l’importante Discorso del Presidente Morozzo sovra l’esecuzione della pace conchiusa tra S.A.R. e la Repubblica di Genova, in Arch. di Stato di Torino, Corte, Mat. pol. rel. estero, Negoziazioni colla Repubblica di Genova, 2, c. 12). Nell’ottobre 1637 Vittorio Amedeo I morì improvvisamente, lasciando un erede bambino, Francesco Giacinto, di cui sul letto di morte affidò – o, almeno, così parve ad alcuni – la reggenza alla vedova Cristina di Borbone, Madama Reale. Costei chiamò allora Morozzo a fare parte del Consiglio di reggenza e lo incaricò di recarsi dal cardinal Maurizio, fratello del duca scomparso e sostenitore della Spagna, per convincerlo a non far rientro in Piemonte. Il cardinale, infatti, intendeva porre in discussione il ruolo della vedova, assumendo egli stesso la reggenza, e sperava, inoltre, di convincere la cognata a sposarlo. Per il momento, Cristina riuscì ad allontare il cardinale, ma quando, un anno più tardi, anche Francesco Giacinto morì e il trono passò a Carlo Emanuele II sia il cardinale sia il principe Tomaso di Carignano, altro fratello di Vittorio Amedeo I, rientrarono in patria. Scoppiò così in Piemonte la guerra civile, che per cinque anni (1638-42) oppose madamisti e principisti, sostenuti rispettivamente dalla Francia e dalla Spagna, dividendo in due lo Stato e creando conseguenze destinate a durare decenni. Morozzo fu uno dei più fieri sostenitori della reggente e quando nel 1639 Tomaso conquistò Torino lasciò la città. Quando la riprese, Cristina premiò Morozzo per la sua fedeltà, nominandolo primo presidente del Senato (8 giugno 1641).

All’epoca, però, vi furono anche interpretazioni diverse del suo operato. Giacomo Beraudo, avvocato patrimoniale del cardinal Maurizio, raccontava: «Nel tempo delle guerre civili di questo paese tra Madama Cristina di Francia ed i prencipi del sangue, sendo egualmente pericoloso il seguitar l’uno come l’altro partito, due grandi uomini cioè il marchese Morozzo, gran cancelliere, ed il primo presidente […] Filippa, per non dichiararsi l’uno finse d’esser insensato et l’altro di essere ammalato a morte; s’aggiustarono i prencipi con Madama, guarì quello che era ammalato et si conobbe non esser mai l’altro stato tanto savio come quando si finse insensato» (l’episodio è narrato in F.D. Beraudo di Pralormo, Centones seu quodlibet variæ eruditionis collectum, in Arch. Beraudo di Pralormo, 16, Scritti, c. 6, § 2480). In ogni caso, Morozzo approfittò dei mesi di ritiro per scrivere la sua opera forse più nota, l’Apologeticon pro magistratibus pedemontanis, excerptum ex notis, quas conscripsit ad decades praesidis Antonii Fabri (Torino 1641), in cui difendeva i diritti giurisdizionali della corona, suscitando aspre reazioni dalla curia romana.

Dopo la vittoria madamista nella guerra civile, Morozzo fu impegnato più volte nelle trattative col Comune di Torino, schieratosi sul fronte principista, e si mostrò inflessibile nel pretendere dalle autorità municipali una totale obbedienza alle richieste di Cristina, in particolare quelle fiscali e relative agli obblighi di alloggio militare. Nel gennaio 1643 acquistò il feudo di Rocca de’ Baldi, con titolo marchionale, che da allora divenne identificativo della sua linea familiare all’interno del casato.

Il 21 dicembre 1651 fu nominato gran cancelliere di Savoia, la più alta carica dello Stato, il cui potere era secondo solo a quello del duca. Nell’aprile 1656 presentò alla reggente un importante Parere su vari punti circa il buon governo dello Stato (Arch. di Stato di Torino, Corte, Materie giuridiche, Gran cancelleria, 1, c. 17), in cui criticava la corte come fonte di esborsi eccessivi, proponendo di «restringer quanto piú si puotrà le spese che riguardano le Case Reali»  e di eliminare le pensioni che durante la guerra civile erano state assegnate a molti suoi componenti. In realtà, era grazie a tali ricompense che la reggente poteva mantenere il consenso; i consigli, quindi, al di là di un generico apprezzamento, non trovarono concreta attuazione.

Morì a Torino il 30 ottobre 1661.

Sebbene fosse sepolto a Mondovì nella chiesa di S. Maria delle Grazie, il figlio Carlo Francesco organizzò sontuosi funerali a Torino nella chiesa dei gesuiti e ne commissionò una descrizione a stampa (Il funerale dell’Illustrissimo et Eccellentissimo Signor Conte Carlo Filippo di Morozzo Gran Cancelliere di Savoia fatto nella Chiesa della Compagnia di Giesù alli 7 novembre 1661 e dedicato all’inclita et illustrissima Casa di Morozzo, Torino 1661). Un suo busto sepolcrale fu posto nel 1703 nella chiesa torinese di S. Francesco da Paola, dove tuttora si conserva. Un ritratto di Morozzo, con toga e mazza da gran cancelliere, fu commissionato da Carlo Alberto a Pietro Ayres (1794-1878) per la Galleria del Daniel nel Palazzo Reale di Torino.

Fonti e Bibl.: V. Castiglione, Li Reali Himenei de’ Serenissimi Principi sposi Henrietta Adelaide di Savoia e Ferdinando Maria di Baviera, Torino 1651, p. 39; F.A. Della Chiesa, Corona reale di Savoia o sia relazione delle province e titoli ad essa appartenenti, I, Cuneo 1655, pp. 201 s.; Id., Catalogo de’ scrittori piemontesi, savoiardi e nizzardi, Carmagnola 1660, pp. 47 s.; S. Guichenon, Histoire généalogique de la Maison de Savoie, I, Lione 1660, pp. 116 s.; E. Tesauro, Inscriptiones, Torino 1666, p. 295; P. Nallino, Il corso del fiume Ellero, Mondovì 1788, p. 127; G. Grassi di Santa Cristina, Memorie istoriche della chiesa vescovile di Monteregale in Piemonte, I, Torino 1789, pp. 199 s.; Id., Dell’Università degli studi in Mondovì. Dissertazione, Mondovì 1804, p. 114; P. Galli della Loggia, Cariche del Piemonte e paesi uniti colla serie cronologica delle persone che le hanno occupate, I, Torino 1798, pp. 56 s., 275 s., 360, 463; G. Casalis, Diz. geografico storico statistico commerciale degli Stati di Sua Maestà il re di Sardegna, X, Torino 1842, s.v.Margarita, p. 166; s.v.Mondovì, pp. 716 s.; XVI, ibid. 1847, s.v. Rocca de’Baldi, p. 496; XXI, ibid. 1851, s.v.Torino, p. 537; V. Angius, Sulle famiglie nobili della monarchia di Savoia, IV, Torino 1857, pp. 487-498; G. Olivero, Mem. storiche della città e Marchesato di Ceva, Ceva 1858, p. 362; G. Claretta, Storia della reggenza di Cristina di Francia, duchessa di Savoia, II, Torino 1869, pp. 52-54, 57 s., 85, 102, 119, 127, 166, 251 s., 350-352, 394, 662, 665 s., 676-682, 685, 691, 776 s.; Id., Storia del regno di Carlo Emanuele II, II, Genova 1877, pp. 409-412; C. Dionisotti, Storia della magistratura piemontese, II, Torino 1881, pp. 200 s.; E. Stumpo, Finanza e Stato moderno nel Piemonte del Seicento, Roma 1979, p. 213; I. Massabò Ricci - C. Rosso, La corte quale rappresentazione del potere sovrano, in Figure del barocco in Piemonte. La corte, la città, i cantieri, le province, a cura di G. Romano, Torino 1988, pp. 22 s., 27.

Vocabolario
ròcca
rocca ròcca s. f. [lat. *rocca: v. roccia]. – 1. ant. Roccia: Al piè al piè de la stagliata r. (Dante). In questa accezione il termine è vivo solo nelle locuz. allume di rocca, solfato doppio di alluminio e potassio (v. allume, n. 1), e...
rócca-fuòco
rocca-fuoco rócca-fuòco (o roccaffuòco) s. f. [comp. di rócca e fuoco; la variante, da rócca a fuoco] (pl. rócche-fuòco). – Artificio di guerra formato essenzialmente da una mistura bituminosa di pece nera e resina di pino nella quale è...
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