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PUCCI, Orazio

di Francesco Martelli - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 85 (2016)
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PUCCI, Orazio

Francesco Martelli

PUCCI, Orazio. – Nacque a Firenze attorno al 1534, primogenito di Pandolfo di Roberto e di Laudomia Guicciardini, figlia dello storico e politico Francesco.

Svolse i propri studi giuridici presso l’Università di Padova, anziché nello Studio di Pisa, al quale si rivolgevano normalmente le famiglie del patriziato fiorentino allineate con il potere mediceo. Non risulta dalle fonti che fosse sposato né che avesse avuto figli. Colpito come tutto il ramo familiare dalla confisca dei beni e dalla perdita del diritto di cittadinanza a seguito della condanna ed esecuzione capitale del padre Pandolfo (1559), riconosciuto a capo di un progetto di congiura contro il duca Cosimo I de’ Medici, venne perdonato e riabilitato dal duca nel 1563 (motuproprio datato Pisa, 27 marzo 1563, Archivio Pucci, filza 118, f. 1456). Con questo provvedimento, Orazio e i fratelli venivano anche reintegrati dei beni di famiglia che erano stati confiscati nel 1559.

Malgrado questo atto di clemenza, Orazio continuò ad alimentare in sé il sentimento di opposizione ai Medici e il desiderio di vendicare il padre Pandolfo. Si raccolsero attorno a lui giovani di alcune delle più eminenti casate patrizie della città (Capponi, Ridolfi, Alamanni, Machiavelli) animati da fervore antimediceo e repubblicano che trovava nuovo alimento nel carattere e nei comportamenti impopolari del principe ereditario Francesco.

I propositi architettati di eliminazione del duca Cosimo – ancora vivente all’epoca – e di tutti i suoi figli, che nelle speranze dei congiurati avrebbero dovuto avere come logico corollario il sollevamento del popolo fiorentino e il ritorno alle istituzioni repubblicane, non ebbero tuttavia alcun seguito concreto, anche se ebbero una prosecuzione dopo la morte del primo granduca (1574). Alcuni atti di evocazione simbolica compiuti dai congiurati, quali quello di far coniare in Roma medaglie inneggianti al tirannicida Bruto, ebbero soltanto per conseguenza di attirare l’attenzione, tanto che la notizia di ciò che si stava preparando a opera di Orazio Pucci e degli altri venne a conoscenza di Ferdinando, fratello minore del nuovo granduca Francesco I, che si trovava a Roma come principe cardinale.

Il 24 aprile 1575, non appena informato da Ferdinando tramite un corriere straordinario (Istoria del granduca..., 1880, p. 377), il granduca Francesco fece subito arrestare Orazio Pucci che, incarcerato, tentò senza successo il suicidio. Il conseguente ritardo nell’avanzamento del processo consentì comunque agli altri principali congiurati di abbandonare Firenze mettendosi momentaneamente in salvo fuori dalla Toscana, in particolare a Venezia e in quel porto tradizionalmente ricettivo nei confronti dei fuorusciti antimedicei costituito dalla Francia.

Ancora una volta, com’era stato nel caso del padre Pandolfo nel 1559, la conduzione del procedimento inquisitorio fu affidata al cancelliere del tribunale criminale degli Otto di guardia e balìa, Lorenzo Corboli, che mediante il ricorso alla tortura non tardò a ottenere dal Pucci una confessione firmata con i nomi dei complici. Si procedette quindi, tra il 6 e l’11 agosto 1575 all’emanazione della sentenza. Orazio e altri sei cittadini (Antonio di Niccolò Capponi, Piero di Lorenzo Ridolfi, Piero di Alessandro Capponi, Roberto di Piero Capponi, Cecchino di Tommaso Alamanni, Vincenzo ‘Cencio’ di Piero Capponi, quest’ultimo alla memoria in quanto deceduto circa quattro anni prima) più vari altri dei quali – si diceva nella sentenza – era ritenuto opportuno non rendere espliciti i nomi, venivano riconosciuti colpevoli di ribellione e lesa maestà per avere congiurato fin dal 1570 contro la vita del granduca Cosimo I, del figlio e attuale granduca Francesco e degli altri principi Medici. Per tutti, in piena applicazione della Lex Polverina del marzo 1549, la pena fu della forca e confisca dei beni. Contro Orazio, unico carcerato, si procedette il 22 agosto 1575 all’esecuzione per impiccagione alle finestre del palazzo del Bargello così come era stato un quindicennio prima per il padre Pandolfo (Archivio di Stato di Firenze, Otto di guardia e balìa del principato, 131, cc. 120r-123r).

Le confische dei beni di famiglia dei congiurati – circa venti giovani appartenenti a molte delle famiglie più eminenti della città furono riconosciuti come coinvolti – vennero portate avanti con grande severità dal fisco granducale, su preciso ordine del granduca. Lo storico settecentesco Jacopo Riguccio Galluzzi stima il valore dei beni incamerati non inferiore a 300.000 scudi (1781, p. 148). L’implacabile condotta granducale, facilmente interpretata come bramosia di mettere le mani sulle sostanze delle famiglie coinvolte, non piacque ai fiorentini, contribuendo ad accrescere il disamore verso il nuovo granduca, dal carattere e dai modi di governo così diversi rispetto a quelli del padre Cosimo. I beni confiscati a Orazio Pucci furono dal granduca donati in parte al fratello cardinale (27 agosto 1575), e da questi restituiti nel 1585 ai fratelli rimasti; un atto di benevolenza effettuato soprattutto in favore di Alessandro, ecclesiastico, che rimase al suo servizio durante tutto il periodo del cardinalato romano (1572-87) e al quale Ferdinando era particolarmente legato.

Probabilmente, però, l’intento principale di Francesco I nel porre in atto la reazione non era quello economico: la scoperta del progetto di congiura offriva, infatti, l’occasione per «una vasta operazione di sradicamento delle opposizioni politiche», che si allargava in direzione della rete dei fuorusciti, tuttora esistente all’estero (Boutier, 1996, p. 342). Contemporaneamente, essa voleva rappresentare un minaccioso monito a quella parte del patriziato fiorentino non ancora del tutto allineata al potere mediceo, nella quale albergavano nostalgie repubblicane (ibid., pp. 339-342). Allo stesso tempo, il granduca aveva modo di mostrarsi ai sudditi, e soprattutto agli osservatori esteri, come un sovrano attento e ben in grado di controllare e reagire alle minacce contro di lui e il suo Stato.

Così com’era stato ai tempi del padre Cosimo I dopo la scoperta del progetto di congiura di Pandolfo Pucci (1559), ma ora in modo ancor più accanito e spietato, si allungava sui congiurati riparati all’estero la trama della vendetta granducale. Negli anni immediatamente successivi, diversi di loro – come Francesco Alamanni, Bernardo Girolami, Antonio Altoviti, riparati in Francia, e, dopo un inseguimento attraverso l’Europa, Piero Capponi – caddero sotto i colpi dei sicari o della giustizia medicei. Altri congiurati, come Pierino Ridolfi e Camillo Martelli, furono raggiunti in Paesi diversi dove avevano cercato rifugio dalla tenacia implacabile di Francesco I de’ Medici.

La congiura di Orazio Pucci chiuse definitivamente l’epoca quattro-cinquecentesca delle congiure fiorentine che si manifestarono all’interno del sistema oligarchico sociale e politico cittadino e attraversarono anche la prima fase, non ancora del tutto consolidata, dello Stato principesco mediceo formalizzato, che vide il patriziato cittadino sostanzialmente escluso dalla partecipazione al potere politico (Boutier, 1996, pp. 321 s.). Solo con il granduca Ferdinando I, principe pacificatore, avrebbe avuto compimento quel saldo patto dinastico con il patriziato sul quale si sarebbe fondata la stabilità dello Stato mediceo fino all’estinzione della dinastia, e che avrebbe avuto nella formazione di una cospicua corte, con il suo corredo di possibilità di impiego e di onori, uno dei principali strumenti di consenso.

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 46, 50, 59 (Minute di lettere di Francesco I a sovrani e governanti); 4606-4609 (corrispondenza dalla Francia dell’ambasciatore Sinolfo Saracini e del suo segretario Curzio Picchena, 1576-1580), 5089 (carteggio del cardinale Ferdinando con il fratello granduca Francesco I); Mannelli Galilei Riccardi, 371 ins. 7, 384, 453 ins. 2; Ceramelli Papiani, 3869; Sebregondi, 4334; Otto di guardia e balìa del Principato, 131 (condanna di O. P. e degli altri congiurati), 136 (arresto di O. P.). Soprintendenza archivistica per la Toscana, Inventario fondo Pucci (1404-1930), a cura di D. D’agostino - F. Polidori, 2000, http://www.soprintendenzaarchivistica

toscana.beniculturali.it/fileadmin/inventari/ Pucci.pdf (25 gennaio 2016).

J.R. Galluzzi, Istoria del granducato di Toscana sotto il governo della casa Medici, II, Firenze 1781, pp. 146-148; Négociations diplomatiques de la France avec la Toscane. Documents recueillis par Giuseppe Canestrini et publiées par Abel Desjardins, IV, Paris 1865, pp. 215-238; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, Milano 1868, Pucci di Firenze, tav. VI; Istoria del granduca Ferdinando I, scritta da Piero Usimbardi, a cura di G. E. Saltini, in Archivio storico italiano, s. 4, VI (1880), pp. 376 s.; B. Arditi, Diario delle cose successe nella città di Firenze et in altre parti della cristianità, cominciato adì I giugno 1574, a cura di R. Cantagalli, Firenze 1970, pp. 48 s., 145 s. e passim; G. De Ricci, Cronaca (1532-1606), a cura di G. Sapori, Milano-Napoli 1972, pp. 154-158; F. Diaz, Il granducato di Toscana. I Medici, Torino 1976, pp. 231-233; J. Boutier, Trois conjuractions italiennes: Florence (1575), Parme (1611), Gênes (1628), in Mélanges de l’École française de Rome. Italie et Méditerranée, 1996, t. 108, 1, pp. 319-375 (in partic. pp. 327-342).

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