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Pinocchio

di Emilio Varrà - Enciclopedia dei ragazzi (2006)
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Pinocchio

Emilio Varrà

Il burattino che ha conquistato il mondo

Era il lontano 1881 quando in Toscana nasceva Pinocchio, il burattino di legno più intraprendente, bugiardo e di buon cuore che sia mai esistito. Mentre scriveva le prime pagine di Le avventure di Pinocchio: storia di un burattino, Carlo Collodi non avrebbe mai immaginato di inventare una figura che sarebbe diventata così famosa. Anche se tutti i personaggi nel romanzo cercano in qualche modo di catturarlo, il burattino riesce sempre a scappare ed è forse fuggito anche dalle pagine del suo libro per entrare nella fantasia dei bambini di tutto il mondo

Il rischio di una brutta fine

Non tutti sanno quale doveva essere la vera fine di Pinocchio. Quando Collodi, nel 1881, cominciò a scriverne le avventure a puntate sul Giornale per i bambini, l’intenzione era di lasciarlo appeso alla Quercia grande, come estrema punizione per tutte le birbonate compiute. E se non fosse stato per le richieste dei tanti bambini che non si rassegnavano a veder morire il loro burattino preferito, Pinocchio sarebbe ancora lì a spenzolare, spinto dalle raffiche di vento e deluso per il mancato aiuto della Bambina dai capelli turchini. Collodi però volle dare ascolto alle proteste dei suoi piccoli lettori e riprese a raccontare mille altre peripezie fino alla trasformazione finale in bambino in carne e ossa. Ed è così che finisce il libro, che comparve per la prima volta in volume nel 1883 per la casa editrice fiorentina Paggi.

Per Pinocchio fu una vera fortuna, perché se fosse rimasto impiccato non avrebbe avuto il successo che ancora dura dopo tanti anni. Pensate che il libro che lo vede protagonista è uno dei più tradotti e diffusi nel mondo, quasi come la Bibbia. E anche chi non l’ha letto ben conosce il personaggio. È come se il burattino, spinto sempre dalla voglia di correre e scappare, fosse fuggito anche dalle pagine di carta e avesse girovagato in giro per il nostro pianeta, apparendo ora al cinema, ora nei fumetti, ora in teatro, persino nelle pubblicità del caffè e del borotalco.

Il segreto del successo

Ma bisogna trovare i motivi di una così grande fama. Questa poi stupisce ancora di più se si pensa che Le avventure di Pinocchio è un libro profondamente legato a un periodo storico, la seconda metà dell’Ottocento, e a una precisa regione geografica, la Toscana. Perché mai potrà piacere una storia simile a paesi e bambini lontanissimi e diversissimi per cultura?

Rispondere a questa domanda vuol dire entrare nei segreti del romanzo di Collodi. L’autore è riuscito in un’impresa formidabile, perché ha saputo raccontare una storia che è molto particolare per collocazione ma riesce a diventare anche universale. Facciamo un esempio. Se si considera il paesaggio in cui si muove il burattino, si possono riconoscere elementi caratteristici della Toscana di cui si diceva: i campi, i viottoli, la miseria delle case, persino l’abitudine a disegnare sui muri un focolare per cucinare un cibo che molto spesso non si poteva comprare sono tutte caratteristiche di quella regione. Eppure il paesaggio diventa anche universale, riesce cioè a raccontare situazioni e atmosfere che possono capire tutti, anche ai lati opposti del mondo.

Il tema del viaggio; la natura sempre ostile, con le sue raffiche di vento gelido, la pioggia scrosciante, il buio fitto fitto della notte; la minaccia del fuoco che sempre perseguita il povero burattino; il mare immenso e il pericolo di essere divorato dal Pescecane; il volo in alto nel cielo a cavalcioni di un colombo: queste sono tutte cose che in un modo o in un altro esistono in tante altre storie e quindi affascinano bambini anche lontanissimi.

Voglia di libertà

Non è però solo il paesaggio ad avere come una doppia identità: tutto nel libro è più complicato di quello che sembra, tutto è più misterioso. Per dirne una: ci siamo mai chiesti quando nasce davvero Pinocchio? Quando lo costruisce Geppetto, viene subito da dire! Ma siamo sicuri? A ben vedere il pezzo di legno già parlava quando era nella bottega di Maestro Ciliegia e si lamentava dei colpi troppo forti. Ancora non poteva correre o fare linguacce perché non aveva forma di burattino, ma certo era già vivo. E allora forse parlava anche prima, magari quando era ancora il ramo di un albero. Chi lo sa? Ecco, con Pinocchio è sempre così, non si sa mai dare risposte sicure, lo prendi per un verso e lui scappa dall’altra parte.

Ma allora forse è proprio questa la vera natura del nostro protagonista: è uno spirito libero che non sopporta regole, definizioni, divieti. Se lo si potesse intervistare, probabilmente ci direbbe che il suo massimo desiderio è correre a perdifiato nei boschi, abbuffarsi fino a scoppiare e magari, ogni tanto, fare qualche recita insieme ai suoi amici burattini. Insomma vivere alla giornata e fare, di momento in momento, solo quello che gli va. E qui iniziano i guai, perché purtroppo il mondo in cui viviamo non è fatto in questa maniera, tutti ci dicono cosa bisogna e non bisogna fare, di regole ce n’è anche troppe e ogni volta che si fa una marachella arriva puntuale la punizione.

La prigione del mondo

Il vero problema di Pinocchio è questo: ritrovarsi in un mondo che non è fatto per lui, come un pesce fuori dall’acqua o un uccellino chiuso in gabbia. E in effetti più di una volta anche lui si sente in prigione: non è un caso che, appena nato, dia un bel calcio sul naso a Geppetto e scappi di casa. Probabilmente ha già capito che c’è qualcosa che non va e che è meglio filarsela subito.

Ma in realtà non c’è scampo: una volta c’è il Grillo parlante con le sue ramanzine, un’altra la fame che ti tiene più stretto delle manette, un’altra ancora Mangiafoco che lo cattura per farlo bruciare, e poi le menzogne di compagni poco raccomandabili come il Gatto e la Volpe, le tagliole che ti addentano appena rubi un grappolo d’uva, i rimproveri della Fata che fanno più male perché lei è bella e gentile; insomma non ci si salva davvero mai!

Viste in questo modo le avventure di Pinocchio, che per altri versi fanno davvero ridere, sono molto tristi. Almeno fino a quando non è premiato per il suo nuovo comportamento obbediente e si trasforma in bambino. Ma siamo sicuri che sia contento di questa fine? Magari ha nostalgia della sua natura di legno e ancora sogna le corse a perdifiato, le nuotate e i voli di un tempo. Anche questo rimane un mistero senza soluzione.

La giusta misura che non c’è

Bisogna però chiedersi una cosa fondamentale: se è vero che il mondo non è a misura di Pinocchio, cioè non è fatto come lui vorrebbe, chi dei due è sbagliato? Il mondo o il burattino? Anche qui è difficile rispondere. Certamente non si può dire che il nostro eroe si comporti sempre come dovrebbe: lasciare arrestare Geppetto per colpa propria non è certo un’azione raccomandabile. E anche schiacciare con una martellata il Grillo parlante, per quanto noioso possa essere. E che dire di tutte le volte che delude la Fata? E delle famigerate bugie?

A ben guardare, però, non è che il mondo si comporti meglio: come si può giustificare il tribunale del paese di Acchiappacitrulli che arresta solo chi è innocente? E non è esagerato punire il furto di un po’ d’uva con la cattura e la condanna a fare da cane da guardia al buio e al freddo? Senza contare i pericoli maggiori: le truffe di criminali patentati come il Gatto e la Volpe che appena sentono l’odore delle monete non si fanno scrupoli e diventano assassini; o la trappola dell’omino che guida il carro per il Paese dei Balocchi e che sembra gentile e affettuoso ma porta i bambini a una fine tragica. Insomma il mondo in cui si muove Pinocchio è come un campo minato, basta un passo falso e ti trovi in gattabuia o nella padella del Pescatore verde.

Il premio finale

Eppure il nostro eroe resiste e riesce in qualche modo a togliersi sempre d’impaccio. La sua forza sta soprattutto nella bontà d’animo, perché al di là di qualche birbonata non si può certo dire che sia cattivo, e soprattutto nella sua vitalità, nel fatto che non si arrende mai anche quando la fine sembra certa. Sarà forse che è fatto di legno duro e che quindi non si rassegna, combatte contro gli assassini, resiste alle piogge e al freddo, commuove quell’orco di Mangiafoco e salva gli altri burattini, nuota a perdifiato per salvare Geppetto, cerca di salvarsi anche quando è diventato asino. Neppure le fauci e lo stomaco del Pescecane riescono a fermarlo. Ed è forse per questo coraggio che arriva il premio finale.

Ma come si comporterà Pinocchio divenuto bambino? Ennesimo mistero. Comunque, sarà bene non fidarsi di chi dice che è meglio di quando era burattino. A saper guardare, non era poi tanto male neanche prima.

Vedi anche
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Indice
  • 1 Il rischio di una brutta fine
  • 2 Il segreto del successo
  • 3 Voglia di libertà
  • 4 La prigione del mondo
  • 5 La giusta misura che non c’è
  • 6 Il premio finale
Categorie
  • OPERE E PROTAGONISTI in Letteratura
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  • CARLO COLLODI
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Vocabolario
pinòcchio
pinocchio pinòcchio s. m. [der. di pino]. – Altro nome del pinolo, frequente in passato, oggi di uso raro: uno di quei castagnacci rotondi, zeppi di pinocchi e di zibibbo (D’Annunzio). ◆ Dim. pinocchino, pinocchiétto.
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Pinocchio Pinòcchio. – Nome del protagonista di un famoso libro per ragazzi, Avventure di P.: storia di un burattino (1883) di Collodi (Carlo Lorenzini), un burattino ricavato da un tronco di legno, che fugge dalla casa del falegname che...
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