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Dominicana, Repubblica

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Atlante Geopolitico 2013 mappa fig vol1 004320 004.jpg
Stato
Hispaniola

Stato dell’America Centrale, che occupa la parte orientale dell’isola di Hispaniola, situata fra Cuba e Puerto Rico. Per le caratteristiche fisiche ➔ Hispaniola.

Popolazione

Con l’arrivo degli Spagnoli, gli abitanti indigeni, forse 100.000 (Taino, del gruppo Aruachi, e Caribi), furono praticamente sterminati e poi sostituiti con schiavi neri africani, che alla data dell’indipendenza (1844) costituivano, insieme con i Mulatti, circa il 90% della popolazione. Successivamente Neri e Mulatti diminuirono in percentuale (oggi sono circa il 70%, con grande prevalenza dei Mulatti), sia per l’esodo volontario verso la vicina Haiti, sia, nel periodo della dittatura di R.L. Trujillo Molina, per la politica di incoraggiamento dell’immigrazione di agricoltori di origine europea.

La dinamica demografica è caratterizzata da un sostenuto incremento annuo (1,5% nel 2008). La popolazione è distribuita piuttosto irregolarmente, con forti addensamenti nella piana costiera meridionale e, soprattutto, nella fertile valle del Cibao, a N della Cordigliera Centrale; le densità più basse si riscontrano nelle province di Pedernales e di Independencia, situate nelle zone aride sud-occidentali verso il confine con Haiti. Intenso, a partire dagli anni 1980, il processo di urbanizzazione, che ha fatto salire a oltre il 59% la popolazione urbana, per circa un terzo concentrata nella capitale Santo Domingo, principale polo produttivo del paese. La seconda città è Santiago de los Caballeros, nella valle del Cibao; gli altri centri hanno ampiezza demografica modesta, anche se svolgono ruoli di qualche importanza come mercati locali (San Francisco de Macorís) o scali marittimi (La Romana). La religione della grande maggioranza è quella cattolica.

Condizioni economiche

La crescita delle città è andata di pari passo con la diminuzione degli addetti al settore primario, ma l’agricoltura continua a essere un’attività rilevante, anche se il settore è molto vulnerabile, sia per le calamità naturali sia per la dipendenza dai mercati mondiali, in quanto le colture principali sono quelle orientate all’esportazione. La coltura prevalente e di maggior reddito è quella della canna da zucchero, diffusa in particolare nella pianura costiera meridionale, i cui raccolti richiedono una grande quantità di manodopera, che stagionalmente immigra da Haiti; sui versanti collinari della Sierra de Bahoruco prevale il caffè, mentre nelle pianure interne sono diffusi cacao e tabacco. Tra le colture di sussistenza prevalgono riso, mais, manioca e frutta. I seminativi e le colture arboree coprono il 30% della superficie territoriale, i prati e i pascoli permanenti il 43%, le foreste il 13% (legname pregiato e prodotti coloranti); ma non tutte le aree favorevoli sono utilizzate, nonostante i progressi dell’irrigazione. L’allevamento, favorito dall’abbondanza di pascoli, è piuttosto sviluppato, specie per quanto riguarda i bovini. La principale risorsa mineraria è il nichel, proveniente dal giacimento di Monseñor Nouel, nella Cordigliera Centrale.

Condizionato dalla mancanza di energia, di manodopera qualificata e di capitali, il settore industriale è sostanzialmente legato alla trasformazione dei prodotti agricoli (zuccherifici, birrifici, oleifici, distillerie di alcol e di rum, cotonifici, manifatture di tabacchi), fatta eccezione per alcune ‘zone franche’, dove l’industria mostra un maggiore dinamismo. Sussistono ancora le grandi nazionalizzazioni, ma dal 2000 sono iniziate anche le privatizzazioni. Il reddito medio pro capite, pur se in aumento grazie agli aiuti economici statunitensi, è inferiore alla media latino-americana.

La bilancia commerciale è in crescente passivo: le importazioni provengono soprattutto da Stati Uniti, Venezuela, Messico e Giappone (macchinari, petrolio e prodotti derivati); le esportazioni sono prevalentemente dirette verso gli USA (nichel, zucchero e sigari). Buone fonti di valuta sono rappresentate dal turismo e dalle rimesse degli emigrati. Dal 2007 la Repubblica D. è entrata a far parte del CAFTA (Central American Free Trade Agreement) che l’associa agli USA insieme a Guatemala, Salvador, Honduras e Nicaragua.

Le comunicazioni sono garantite da una discreta rete stradale (circa 18.000 km), con arterie che dalla capitale si irradiano verso le regioni settentrionali, occidentali e orientali; la rete ferroviaria (oltre 1700 km) è quasi per intero al servizio delle piantagioni (trasporto dei prodotti verso i porti di imbarco). Il principale porto è quello di Santo Domingo. Aeroporto internazionale a Punta Caucedo.

Storia

Sede della prima colonizzazione spagnola nel Nuovo mondo (per le vicende anteriori al 18° sec. ➔ Hispaniola), la colonia, chiamata comunemente Santo Domingo dal nome della sua capitale, crebbe dalle poche migliaia di unità dei primi del Settecento alle circa 100.000 di un secolo più tardi, pur restando assai meno prospera della francese Saint-Domingue (➔ Haiti) e presentando una società meno polarizzata. La rivoluzione haitiana coinvolse la colonia (che il trattato di Basilea del 1795 aveva assegnato alla Francia) e nel 1801 Santo Domingo fu occupata dalle forze di Toussaint Louverture; recuperata dalla Spagna nel 1809, la pace di Parigi del 1814 sancì il suo ritorno sotto la sovranità di Madrid.

Nel 1821 si proclamò indipendente, ma fu invasa dalle forze di Haiti, cui restò annessa fino al 1844. L’occupazione haitiana, se consentì la definitiva emancipazione degli schiavi, fu mal tollerata dalla popolazione per le differenze etniche e culturali che si erano consolidate fra le due parti dell’isola. La resistenza nazionalista sfociò nella rivolta del 1843-44, che portò alla nascita della Repubblica D. (1844). Ulteriori tentativi di invasione da parte di Haiti indussero il governo dominicano a ricondurre il paese sotto la sovranità spagnola nel 1861, ma una rivoluzione ristabilì l’indipendenza (1865). Nell’Ottocento l’emigrazione di parte dei neri dominicani favorì il consolidamento dell’egemonia creola. Malgrado l’esistenza di un regime costituzionale fin dal 1844, la lotta fra i diversi gruppi della classe dominante provocò un’accentuata instabilità, interrotta solo fra il 1882 e il 1899 dal lungo governo dittatoriale di U. Heureaux. Il processo di modernizzazione avviato da quest’ultimo stimolò lo sviluppo, affluirono capitali dall’estero ma crebbe anche la penetrazione economica degli USA. La forte crescita del debito estero e la crisi finanziaria esplosa ai primi del Novecento favorirono l’ingerenza straniera e nel 1905, anche per evitare un intervento dei paesi creditori europei, gli Stati Uniti si accollarono il debito di Santo Domingo e assunsero l’amministrazione delle sue dogane (fino al 1940). Negli anni successivi Washington accrebbe la propria influenza, fino a occupare militarmente il paese (1916-24); solo nel 1947, esaurito il pagamento del debito, la Repubblica D. avrebbe sostituito al dollaro una moneta nazionale e creato un proprio istituto di emissione.

Nel 1930, il comandante dell’esercito, R.L. Trujillo Molina instaurò una dittatura personale: governò il paese per i successivi 31 anni, sia direttamente, come presidente della Repubblica, sia attraverso presidenti a lui subordinati, esercitando un dominio assoluto su tutta la vita politica e sociale e assumendo il controllo di gran parte dell’economia dominicana. Dopo l’assassinio di Trujillo da parte di un gruppo di ufficiali (1961), il presidente J. Balaguer tentò di rimanere al potere, ma cedette alle pressioni internazionali e le prime elezioni libere, nel 1962, videro la vittoria del progressista J. Bosch, fondatore del Partido Revolucionario Dominicano (PRD), rovesciato però poco dopo da un colpo di Stato. Nel 1965 una rivolta popolare abbatté il governo golpista, ma fu soffocata dal massiccio intervento degli USA. L’occupazione statunitense assicurò uno sbocco moderato alla crisi e le elezioni presidenziali del 1966 furono vinte da Balaguer, ora alla testa di un Partido Reformista Social Cristiano (PRSC) che riuscì, grazie anche all’appoggio statunitense, a fronteggiare le spinte eversive. Riconfermato nel 1970 e nel 1974, Balaguer mantenne il potere fino alla vittoria del PRD nel 1978, che portò alla presidenza A. Guzmán Fernández. Nel 1982 Guzmán fu riconfermato alla carica, ma si suicidò in seguito ad accuse di malversazione mosse contro membri del governo e della sua famiglia. Dopo la presidenza di S.J. Blanco, la cui politica di compressione dei consumi interni produsse scontri e decine di morti, nel 1986 Balaguer tornò alla presidenza della Repubblica. Riconfermato nel 1990 e nel 1994, le proteste dell’opposizione, riprese anche dalla Chiesa cattolica, lo costrinsero ad accettare una riduzione del suo mandato. Nel 1996, nuove consultazioni presidenziali furono vinte da L. Fernández, candidato del PLD (Partido de la Liberación Dominicana, fondato da Bosch nel 1973), rieletto, dopo il quadrienno della presidenza di R.H. Mejía, nel 2004 e riconfermato nel 2008; nel maggio 2012 gli è subentrato D. Medina, che nel 2016 ha ottenuto un secondo mandato. Le consultazioni presidenziali tenutesi nel luglio 2020 hanno invece registrato la vittoria al primo turno del candidato del Partido Revolucionario Moderno (PRM), Luis Abinader, che si è aggiudicato il 53% circa dei consensi contro il 37.5% del candidato G. Castillo del PLD.

Vedi anche
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