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Urbino

di Gino Franceschini** - Enciclopedia Dantesca (1970)
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Urbino (Orbino)

Gino Franceschini**

Città nell'attuale regione delle Marche. Situata al confine con la Romagna, è ricordata da D. in If XXVII 29 per identificare geograficamente il territorio in potere dei Montefeltro (v.). Il poeta infatti incontra fra i consiglieri fraudolenti l'esponente della casata più discusso e in vista del suo tempo, Guido il cordigliero (v. 67), il quale, ancora sollecitato dai ricordi del mondo che da poco ha lasciato, chiede se Romagnuoli han pace o guerra, spiegando ch'io fui d'i monti là intra Orbino / e 'l giogo di che Tever si diserra (vv. 28-30).

Questo collegamento fra le vicende romagnole e la regione urbinate è indicativo di un'unione di sorti e concezioni politiche che fanno ritenere la città più inserita nella regione limitrofa che non in quella cui appartiene geograficamente, come infatti le sue vicende storiche testimoniano.

Di origine umbra, almeno da quanto si può dedurre dal nome (Urvus = " curvo ", forse in riferimento all'antica forma dell'abitato), U. sorse probabilmente per ragioni di culto: associazioni di boscaioli (dendrofori) e pastori si raccoglievano per loro pratiche religiose in vista del mare su quel colle, che in seguito fortificarono per ragioni di sicurezza.

Fu poi municipio romano di notevole importanza, appartenne alla tribù Stellatina, come confermano numerose iscrizioni e titoli epigrafici. Durante la guerra greco-gotica a U. rimase una guarnigione di circa duemila uomini al comando di Morra, che Vitige vi aveva lasciata quando nel marzo 538, abbandonando Roma, munì di presidi le piazzeforti lungo la via della ritirata. Nell'inseguimento del nemico, Belisario occupò via via l'Italia centrale, assediando anche U. che rivelò così la sua posizione di piazzaforte in cui l'aveva posta la natura; infine il Bizantino ebbe ragione degli assediati.

Nel ventennio di pace che seguì, si organizzò la Chiesa urbinate: non c'è ancora una seguita serie vescovile, ma da Gregorio Magno sappiamo dell'esistenza di un vescovo di U., Leonzio, al quale il papa scrive per affidargli la chiesa di Rimini, essendo Castoro, vescovo di quella, caduto ammalato mentre era presso la Curia. L'ordinamento giustinianeo dette a U. una certa preminenza nella Pentapoli annonaria, quale centro cui faceva capo tutta l'organizzazione difensiva contro i Longobardi di Arezzo, e questo ordinamento durò circa due secoli. Compresa nelle donazioni dei Carolingi alla Chiesa, U. sviluppò la sua vita politica intorno alla sede vescovile cui si affiancarono le vecchie famiglie decurionali; e queste forze insieme guidarono le sorti della città per molti anni. La crisi della lotta per le investiture ecclesiastiche si rivelò nella sua asprezza anche a U., che era Chiesa suffraganea del primate di Ravenna: la vecchia cattedrale di San Sergio, sede dei tradizionalisti, fu abbandonata dai fautori della riforma. Limitando le ingerenze dei laici e correggendo il costume dei chierici, la chiesa ringiovanì per opera del vescovo Mainardo, e cattedrale e canonica risorsero a nuova vita. Frattanto sulle rovine dell'antico ordinamento dell'Esarcato, si venivano affermando nel territorio di U. famiglie di militi, vassalli di vescovadi e di abbazie, arroccati nei loro castelli: il Peglio, Torre Abbazia, Castel delle Ripe, Montefabbri, Cavallino, Lunano. Confinanti con queste famiglie di militi, i conti di Montefeltro, cadetti dei Carpegna, assai potenti nella curia imperiale. Per l'antica fedeltà e a compenso dei segnalati servigi, Federico II, nel 1226, investì i Montefeltro della città di Urbino. Le iniziali resistenze delle vecchie famiglie legate al vescovado furono presto superate dai palesi vantaggi che la città, assunta a capitale di un vasto distretto montano, fece sentire a tutti i ceti sociali.

La signoria dei Montefeltro, accesi ghibellini, fu tenacemente combattuta dalla Chiesa e, nel corso delle lotte sostenute contro Guido, U., divenuto il centro della resistenza ghibellina specie dopo la caduta di Forlì (1283), fu più volte rivendicata dal legato papale. La signoria dei Montefeltro comunque mantenne, tranne brevi pause, il potere sulla città fino all'estinzione della famiglia.

Attestano il culto di D. alla corte dei Montefeltro alcuni codici della Commedia scampati alla dispersione della biblioteca urbinate, che ne doveva assai probabilmente custodire in numero più consistente.

Tra questi spicca l'attuale Urbinate lat. 365 della biblioteca Vaticana, esemplato da Matteo de' Contugi e stupendamente miniato tra il 1478 e il 1480 da Guglielmo Giraldi (v.), Alessandro Leoni e Franco de' Russi, ritenuto a ragione il più bel codice illustrato del poema dantesco.

Di notevole interesse testuale è un altro manoscritto già appartenuto ai Montefeltro, l'Urbinate Lat. 366, esemplato da copista emiliano-romagnolo nel 1352 (data indicata nel colophon: " Explicit comedia Dantis Alegherii florentini. 1352. 16 martii "). Non si sa quando questo codice sia entrato nella biblioteca montefeltrana; è probabile però che Antonio da Montefeltro lo abbia portato con sé nell'esilio, per poi ricollocarlo nella biblioteca al suo ritorno in U. nel 1375.

Pure a U. si trovavano gli attuali Urbinati lat. 367 e 378, ambedue databili tra la fine del XIV e gl'inizi del XV secolo, contenenti l'intera Commedia; e altri tre codici (Urbinati lat. 417, 644 e 682, dei secoli XV e XVI) che ne contengono brani soltanto. Da ricordare inoltre l'Urbinate lat. 686 contenente il Convivio e parte delle Rime, e il 687 con ventisette Rime dantesche.

Bibl. - C. Fiorini, Compendio storico cronologico dello Stato e governo temporale della città di U., con la serie dei suoi conti e duchi, manoscritto nell'Archivio del Capitolo della Cattedrale, 327-353; B. Baldi, Encomio della Patria di monsignore B.B. al Serenissimo signor Duca Francesco Maria II Feltro della Rovere, Urbino 1706; ID., Descrizione del Palazzo Ducale d'U., in Memorie concernenti la Città di U., dedicate alla Sacra Real Maestà di Giacomo III Re della Gran Bretagna, Roma 1724; G. Picciola, U. e la sua storia, in " Rivista d'Italia " VII (1908); D.B. Ligi, I vescovi e arcivescovi di U., Urbino 1953; G. Franceschini, Per la storia della Bibl. di Federico da Montefeltro Duca d'U., in Figure del Rinascimento Urbinate, ibid. 1959; L. Michelini Tocci, Il D. Urbinate della Biblioteca Vaticana, Roma 1965; D. De Robertis, Censimento dei mss. di Rime di D., in " Studi d. " XLII (1965) 469-473; G. Franceschini, I Montefeltro, Milano 1970.

Vedi anche
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Vocabolario
urbinate
urbinate agg. e s. m. e f. [dal lat. Urbinas, pl. Urbinates]. – Di Urbino, città delle Marche (che forma provincia insieme con Pesaro); abitante o nativo di Urbino; per antonomasia, l’Urbinate, Raffaello Sanzio, nativo appunto di Urbino....
alluminato¹
alluminato1 alluminato1 agg. [part. pass. di alluminare2], ant. o letter. – Miniato: più cari a lui che non fosse al Duca d’Urbino il gran codice a. (D’Annunzio).
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