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WILLIAM d'Irlanda (o de Hibernia)

di P. Lindley - Enciclopedia dell' Arte Medievale (2000)
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WILLIAM d'Irlanda (o de Hibernia)

P. Lindley

Scultore noto soltanto attraverso i rendiconti degli esecutori testamentari della regina Eleonora di Castiglia (m. nel 1290), consorte del re Edoardo I di Inghilterra (Manners and Household Expenses, 1841).

Tali rendiconti, ancorché incompleti, poiché terminano nel marzo 1294, forniscono una ricca attestazione del numero di monumenti che il re fece costruire in memoria di sua moglie e costituiscono la più significativa fonte di informazione pervenuta relativamente alla scultura inglese nel tardo 13° secolo.

Nel caso di W., i documenti mostrano che egli fu direttamente coinvolto in almeno due del gruppo di dodici croci commemorative - le c.d. croci di Eleonora - che segnavano i punti di sosta del corteo funebre della regina da Harby, nel Nottinghamshire, fino all'abbazia di Westminster.

Nei rendiconti, W. viene definito sia come cementarius sia come imaginator. Alessandro di Abingdon (v.) al contrario, viene sempre definito le imagineur oppure descritto nei rendiconti come imaginator. Si deve probabilmente essere prudenti nel dare peso eccessivo a queste distinzioni terminologiche, dal momento che Alessandro era coinvolto anche in decorazioni scultoree e che i rendiconti non sono privi di contraddizioni interne. Comunque, se questi termini sono stati usati precisamente nei rendiconti - ed è stato notato come il termine imaginator sia all'apparenza riservato, in documenti stilati a Exeter in un'epoca pressoché contemporanea, a una classe speciale di lavoratori, molto ben pagata -, sembra che W. venga descritto sia come intagliatore sia come scultore di immagini, mentre Alessandro, che venne pagato per dieci immagini a grandezza naturale della regina, viene sempre designato come scultore di immagini.

Il lavoro di W. prevedeva la realizzazione di sculture decorative, 'asta, capitello e anello' delle sovrastrutture della croce, che sembrano essere state scolpite in marmo di Purbeck, per le croci di Northampton (situata appena fuori città, nei pressi Hardingstone) e di Lincoln (perduta). Questi lavori vennero scolpiti non sul luogo, ma nella bottega di W. a Londra, e ciò dimostra che i progetti dovevano essere già stati accuratamente fissati in precedenza da Giovanni di Battle, il capomastro responsabile della croce di Northampton, e da Riccardo di Stow, il progettista di quella di Lincoln. W. scolpì inoltre le sue uniche immagini documentate conservatesi - quattro statue della defunta regina per la croce di Northampton - a Londra, da dove esse vennero trasportate da mastro Guglielmo di Barback.

In un riferimento dei rendiconti, W. risulta pagato "pro factura quinque imaginum ad crucem de Norhamtona", ma in una citazione precedente le cinque immagini della defunta regina erano destinate "ad crucem de Norhamtona et alibi" (Manners and Household Expenses, 1841, pp. 120, 114): di conseguenza sembra che il più tardo riferimento sia una svista e che W. scolpisse un'immagine anche per un'altra croce. Essendo sopravvissuti soltanto alcuni degli altri rendiconti degli esecutori testamentari, è possibile che W. abbia ricevuto pagamenti per ulteriori immagini. L'ipotesi alternativa, avanzata nel sec. 19°, che la croce di Northampton avesse in origine una quinta statua, sembra inaccettabile. Ogni figura costò tre sterline, sei scellini e otto pence.

Secondo Stone (1955), la scultura di W. costituì un'innovativa e stimolante corrente nella scultura inglese, opposta a ciò che egli valutava come una 'scuola di corte' conservatrice e filofrancese. Per lo studioso, nello stile scultoreo di W. sono già presenti molte delle qualità che si ritrovano negli anni venti e trenta del sec. 14°; alla sua opera 'nervosa e inesausta' va attribuita dunque una 'grande precocità'. Ma a questa visione ostano due problemi principali: il primo è che, al pari di Alessandro di Abingdon, W. lavorava a Londra ed era protetto dal re; poco importa se sia definito o meno 'artista di corte'. In secondo luogo, fin troppa attenzione è stata data a un contrasto tra due delle figure della croce di Northampton e una figura della croce di Waltham, di mano di Alessandro. Le due immagini di Northampton, con i loro panneggi mossi, disposti in curve a forma di V e in pieghe arricciate, effettivamente constrastano con le più serene e delicatamente proporzionate figure di Alessandro; tuttavia, le altre due immagini sulla croce di Northampton hanno uno stile di drappeggio che è molto più vicino a quello di Alessandro. Infine, nonostante i danni subìti, si può vedere come altre due figure della croce di Waltham mostrino esse stesse una considerevole varietà stilistica.In realtà, sembrerebbe che il re si servisse di scultori le cui opere non erano stilisticamente omogenee (è possibile, infatti, che la quinta immagine documentata di W. venisse sistemata in una croce con statue di mano di un altro scultore) e che gli stessi scultori fossero in grado di realizzare opere secondo un'ampia gamma creativa, più di quanto non accadesse di solito. La grande importanza delle croci di Eleonora è stata quella di diffondere i più recenti stili metropolitani nelle province, dove essi influenzarono potentemente gli sviluppi futuri di uno stile architettonico che supera i confini tra architettura e scultura.

Bibliografia:

Fonti. - Manners and Household Expenses of England in the Thirteenth and Fourteenth Centuries, a cura di B. Botfield, London 1841.

Letteratura critica. - E.S. Prior, A. Gardner, An Account of Medieval Figure-Sculpture in England, Cambridge 1912, pp. 98-102, 344; L. Stone, Sculpture in Britain: the Middle Ages (The Pelican History of Art, 9), Harmondsworth 1955 (19722), p. 144; J.H. Harvey, English Medieval Architects, Gloucester 19842, p. 158; J. Givens, The Fabric Accounts of Exeter Cathedral as a Record of Medieval Sculptural Practice, Gesta 30, 1991, 2, pp. 112-118; P. Lindley, Romanticising Reality: the Sculptural Memorials of Queen Eleanor and their Context, in Eleanor of Castile, a cura di D. Parsons, Stamford 1991, pp. 69-92; id., Gothic to Renaissance, Stamford 1995, pp. 11-12.

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