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FARINA, Francesco

di Rosaria Abbundo - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 44 (1994)
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FARINA, Francesco

Rosaria Abbundo

Su questo mercante e uomo d'affari della seconda metà del sec. XVIII si possiedono scarse notizie biografiche. Non si conosce la data precisa della sua nascita, che si può far risalire alla fine della prima metà del secolo. Quanto al luogo di origine, si ha ragione di pensare che fosse di Chieti, perché i beni immobili di sua proprietà si trovavano in quell'area geografica; ma, come buona parte dei "negozianti" delle province del Regno di Napoli, il F. aveva eletto a sede dei suoi affari la capitale, ove si era stabilito con la famiglia.

Qui egli era andato dapprima ad abitare in un appartamento di proprietà dei marchesi Palomba, per poi trasferirsi, dopo qualche anno, in due appartamenti di proprietà del duca di Morrone situati in via Toledo in un palazzo attiguo alla chiesa dello Spirito Santo. La famiglia dovette condurre un tenore di vita lussuoso, come dimostra la lista delle spese che il F. dedicava all'arredamento della casa e ad oggetti preziosi, come ori, diamanti, perle, ecc.

Una cospicua documentazione, ritrovata nell'Archivio di Stato di Napoli e nell'Archivio storico del Banco di Napoli, ha permesso di ricostruire gli anni centrali dell'attività dei Farina. Egli era titolare di quattro case di commercio: una, diretta da lui stesso, a Napoli; le altre tre a Chieti, Marsiglia e Trieste, gestite rispettivamente da suo cognato Severino Costanzo e dai fratelli dì questo Saverio e Luigi. D'altronde, in quel periodo, accadeva spesso che ci fosse una gestione familiare delle attività commerciali e degli affari in genere.

La scelta delle città non era casuale, ma ben oculata; Napoli, in quanto capitale del Regno, rivestiva un ruolo centrale per il commercio, la finanza, l'economia e, in generale, per una elevata qualità della vita. Chieti era la più importante città abruzzese, ma anche probabilmente la città d'origine del F.; lì venivano amministrati i suoi beni immobili e gli affari che riguardavano quella provincia del Regno. Trieste era uno dei più trafficati porti dell'Adriatico settentrionale, dove vigeva fin dal secolo precedente - così come a Marsiglia - la franchigia per le merci in entrata.

Tra le merci trattate dalle case di commercio del F. ricorrono legumi, tabacchi, frutta secca, liquirizia, rame, catrame, legnami, ecc. Ma uno dei prodotti più trattati rimane senza dubbio il grano: egli ne comprava grosse partite da semplici massari, da proprietari terrieri o anche da altri "negozianti". Le qualità acquistate venivano, nella maggior parte dei casi, imbarcate nei porti dell'Adriatico - vicini ai luoghi di produzione - su imbarcazioni di armatori locali, per essere spedite agli acquirenti. Salvo poche eccezioni, le derrate venivano avviate verso i porti di Marsiglia, Venezia, Trieste. Ciò denota una notevole intraprendenza da parte del F., poiché il grano era uno di quei prodotti soggetti, nel Regno di Napoli, ad una imposta sull'esportazione, la "tratta", che in quel periodo era abbastanza alta e, per giunta, sottoposta a particolari condizioni. È interessante sottolineare che il F., in alcuni casi, corrispondeva diritti di "tratta" a suo nome, su partite di grano da esportare per conto altrui. Evidentemente egli usava la sua influenza presso le autorità per ottenere licenze di esportazione di grani a favore dei mercanti delle province, e ciò ovviamente non senza un suo tornaconto.

Altro prodotto molto trattato nell'attività commerciale del F. era l'olio che, una volta acquistato, veniva imbarcato prevalentemente a Gallipoli, all'epoca lo scalo più importante del Regno per carichi di quel tipo. Il luogo di destinazione sembra fosse Napoli, dal momento che non risulta esser stato corrisposto dal F. alcun diritto di tratta su quel prodotto.

Il F. generalmente faceva effettuare il trasporto delle merci su navi prese a nolo insieme con altri esportatori, benché egli stesso fosse proprietario di due bastimenti, il "Gran Ferdinando" e la "Carolina", fatti costruire nei cantieri navali di Castellammare di Stabia. Ovviamente quest'investimento dovette incidere molto sui suoi affari, per l'eccessivo immobilizzo di capitale; e, forse per questo motivo, poco tempo dopo il varo, egli fece vendere la "Carolina" nel porto di Marsiglia.

Quella commerciale era solo una delle molteplici attività svolte dal F.; infatti, in linea con i tempi e da buon "negoziante", aveva preso in affitto, nel 1775, l'arrendamento dei ferri delle province di Abruzzo, Capitanata e Contado di Molise, mediante la consueta procedura della partecipazione - nella persona del suo procuratore legale - ad un'asta in cui l'appalto veniva assegnato a colui che avesse presentato l'offerta maggiore allo spegnersi di una candela; in quella occasione, l'offerta con cui il F. si aggiudicò l'appalto fu di 10.100 ducati annui. Nel 1780 l'affitto dell'arrendamento gli fu rinnovato per altri sei anni, senza alcuna convocazione di asta, per una somma annua inferiore: 9.500 ducati, giacché le offerte si erano notevolmente abbassate per le difficoltà in cui versava quell'arrendamento.

Il consistente volume di affari permetteva al F. di utilizzare i conti bancari di cui era titolare, e i suoi agenti di commercio, dislocati nelle diverse città straniere, svolgevano operazioni di cambio con le piazze, prevalentemente di Venezia, Genova, Brescia, Livorno, Vienna, e in genere con tutte quelle con cui intratteneva rapporti commerciali.

Nel dicembre 1782 il F. acquistò dalla reale azienda di Educazione - che dopo l'espulsione dei gesuiti dal Regno di Napoli, decretata nel 1767, ne aveva incamerato tutti i beni - alcune terre ed altri immobili situati nella provincia di Chieti, nonché due "censi del capitale" - sorta di obbligazione sui poderi - di 2.140 ducati, per un valore complessivo di 58.600 ducati, con pagamento dilazionato.

Possedeva, inoltre, sempre nella provincia di Chieti, un'azienda per la lavorazione della liquirizia, che vedeva impiegati alcuni operai; l'F. infatti aveva ottenuto, per 300 ducati annui, la privativa per lo scavo e per la lavorazione della radice di liquirizia nell'intera provincia. Dalle fonti consultate si desume che fosse particolarmente legato a quell'investimento, forse perché era stato uno dei primi della sua attività. Tra l'altro, sembra che proprio lavorando in questa azienda avesse perso un braccio.

Si ignora la data della morte del F., che, una volta ritiratosi, trasmise l'amministrazione degli affari e delle case di commercio al figlio Florindo.

Fonti e Bibl.: Notizie utili sono state reperite a Napoli, Archivio storico del Banco di Napoli, Banco di S. Giacomo, anni 1783-87; Ibid., Libri maggiori e Giornali copiapolizze vari; Archivio di Stato di Napoli, Registri degli arrendamenti, fasc. 605, 1783-84; fasc. 606, 1785-87; Ibid., Camera Reale di S. Chiara, Bozze della Consulta, incartamento XV, busta 511, a. 1785; Ibid., Carte commerciali, fasc. 206.

Per la ricostruzione del quadro storico-economico-finanziario in cui operava il F. cfr.: L. Bianchini, Storia delle finanze del Regno di Napoli, Napoli 1859; G.M. Galanti, Della descrizione del Regno delle Due Sicilie, Napoli 1882; E. Tortora, Nuovi documenti per la storia del Banco di Napoli, Napoli 1890; R. Filangieri, Storia del Banco di Napoli, I, I banchi di Napoli dalle origini alla costituzione del Banco delle Due Sicilie, Napoli 1940; L. De Rosa, I cambi esteri nel Regno di Napoli dal 1591 al 1707, Napoli 1955; P. Chorley, Oil, silk and Enlightenment. Economic problems in XVIIIth century Naples, Napoli 1965; G. Aliberti, Economia e società da Carlo III ai Napoleonidi (1734-1806), in Storia di Napoli, VIII, Napoli 1971, pp. 75-164; P. Macry, Mercato e società nel '700 nel Regno di Napoli, Napoli 1974.

Vedi anche
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