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Napoli

Dizionario di Storia (2010)
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Napoli


Città della Campania. La tradizione ricorda la fondazione di N. da parte dei cumani, ma conserva anche traccia della fondazione di Partenope a opera dei rodi. Secondo una plausibile ricostruzione della primitiva storia di N., a un insediamento di greci dell’Egeo, in particolare provenienti da Rodi, localizzabile nell’isoletta di Megaride (Castel dell’Ovo) e nella costa antistante, ne sarebbe seguito un altro di cumani (secc. 7°-6° a.C.), che incluse anche l’altura di Pizzofalcone; la città così fondata sarebbe stata denominata Palepolis («città antica»), dopo essersi ampliata con la creazione di un nuovo quartiere, a sua volta chiamato Neapolis («città nuova»): un fatto, quest’ultimo, da mettere probabilmente in relazione con un’iniziativa siracusana, conseguente alla vittoria ottenuta sugli etruschi in una battaglia navale presso Cuma nel 474 e connessa con l’insediamento di una guarnigione siracusana a Pitecusa (Ischia). Implicata nella seconda guerra sannitica e presidiata da una guarnigione nolano-sannitica, N. aprì le porte ai romani, che con essa conclusero (326) un foedus aequum; quasi non toccata dalla seconda guerra punica, cominciò a decadere per effetto dell’accrescersi dell’importanza di Puteoli (Pozzuoli) come porto di Roma; nel 90 a.C. fu degradata a municipio (in seguito sotto l’imperatore Claudio diventerà semplice colonia). Quasi distrutta dai partigiani di Silla, per aver parteggiato per Mario (82 a.C.), fu molto cara ad alcuni dei primi Cesari e prediletto luogo di soggiorno di molti ricchi romani. Ebbe scuole celebrate, importanti corporazioni professionali, impronta essenzialmente greca nella popolazione (ca. 30.000 abitanti). Aspramente disputata fra goti e bizantini, restò (dal 553) a questi ultimi, sotto il controllo di un duca che riuniva i poteri militari e civili. Insidiata dai longobardi beneventani, sviluppò nella difesa la propria autonomia (nel 616 si ebbe un tentativo di indipendenza dai bizantini, che vi preposero un duca, poi munito di pieni poteri sulla Campania costiera). Col duca-vescovo Stefano II (755-800) il ducato divenne di fatto autonomo da Bisanzio e si mantenne indipendente attraverso un alternarsi di vicende per quasi tre secoli, fino all’agosto 1139, quando si arrese definitivamente ai normanni. Anche sotto il governatore normanno (Compalazzo) N. conservò una relativa autonomia, e tornò a fiorire. La città si oppose a Enrico VI di Svevia e perciò ottenne privilegi da Tancredi, ma, occupata definitivamente da Enrico VI (1194), ebbe demolite le mura. Con Federico II, l’istituzione dello Studio (1224), presto celeberrimo, le conferì prestigio, cosa che tuttavia non bastò a guadagnare al re svevo le simpatie dei napoletani, ostili al fiscalismo regio: di qui ribellioni, assedi (quello di Corrado IV, 1253), distruzioni, esili, alternati a due brevi periodi di reggimento comunale sotto la tutela del papa Innocenzo IV. Seguì poi il dominio angioino (1266-1441), durante il quale, dopo i Vespri siciliani (1282), N. divenne anche, di diritto, capitale del regno (➔ Napoli, regno di), raggiungendo, verso il 1340, i 60.000 abitanti, fra cui già un grosso proletariato miserabile, prima origine dei futuri lazzari; popolazione rappresentata molto disparatamente (un «eletto» del popolo contro cinque della nobiltà) nei cosiddetti seggi riuniti nel Tribunale di S. Lorenzo. Travagliata da assedi ed epidemie nelle lotte fra i pretendenti angioini, passò (1441) sotto l’erede designato Alfonso d’Aragona e rimase fedele a lui e ai suoi successori; e raddoppiata la popolazione, per l’affluirvi di provinciali del regno, mercanti italiani e stranieri, gentiluomini, guerrieri, funzionari, letterati, esuli bizantini, ebrei, visse il suo periodo più splendido. Schiacciata dall’effimero dominio di Carlo VIII di Francia, cadde, dopo una restaurazione aragonese, sotto il dominio spagnolo (1503), che ne fece il capoluogo di una provincia, sotto il governo di un viceré. L’enorme addensarsi della popolazione, specie per l’immigrazione di un numeroso proletariato provinciale, impose già allora un problema demografico ed edilizio di N., cui i viceré cercarono di dare soluzione (nuove strade, edifici pubblici); ma la terribile pestilenza del 1656, che dimezzò la popolazione, rinviò il problema. Accanto alla vecchia e nuova aristocrazia, veniva emergendo una nuova borghesia di mercanti, appaltatori, funzionari, legali. Nonostante questo ristagno culturale, N. ebbe allora forti passioni politiche e contese municipali. Nobiltà e popolo erano variamente manovrati l’una contro l’altro dai viceré, specie dal secondo duca di Ossuna (1616-20) che ebbe consigliere Giulio Genoino, inimicissimo dei nobili, fino alla rivoluzione detta «di Masaniello» (1647), ma in un primo tempo ispirata da Genoino. Seguì nella seconda metà del sec. 17° un elevamento anche culturale della borghesia (cartesianesimo), invano osteggiato dagli ecclesiastici, mentre i nobili accarezzavano l’idea di un regno autonomo asburgico (congiura di Macchia, 1701) che si ebbe effettivamente, dal 1707 al 1724, ma sotto veste di dominio austriaco, finché con l’avvento di Carlo di Borbone N. tornò capitale di un regno autonomo. Carlo e il successore Ferdinando IV, nei primi decenni, diedero grande impulso alla città, assecondati dal ceto colto, che reclamava e otteneva riforme. Ma, rottosi per effetto delle idee rivoluzionarie francesi l’accordo fra ceto colto e monarchia, N. vide la fuga della corte borbonica davanti alle truppe di Championnet, invano furiosamente combattute dai lazzari, e la proclamazione, il 24 genn. 1799, della Repubblica napoletana (➔ Repubblica napoletana del 1799), vissuta eroicamente fino al 13 giugno 1799 e seguita da orribili repressioni, uccisioni, condanne, esili, confische. Il 16 febbr. 1806, col ritorno dei francesi, il regno passò a Giuseppe Bonaparte, poi a Gioacchino Murat, e nel decennio francese N. si rinnovò nei monumenti civili, nelle istituzioni politiche, economiche ecc. Avvenuta, fra il giubilo dei lazzari e le preoccupazioni del ceto colto, la restaurazione borbonica (maggio 1815), la capitale fu nuovamente sconvolta dalla rivoluzione carbonara del 1820 e presidiata da reparti austriaci (1821-27). Nel quinquennio 1815-20, e fino all’avvento di Ferdinando II (1830), si ebbe una ripresa del progresso materiale della città; la frattura fra monarchia e classe colta si approfondì insanabilmente dopo la crisi del 1848. L’entrata in N. di G. Garibaldi (7 sett. 1860), la caduta della monarchia borbonica e la costituzione dell’Italia unitaria spianarono la via a una notevole ripresa culturale (la scuola hegeliana, F. De Sanctis, i due Spaventa, B. Croce). Si ebbe anche una lenta ripresa materiale, pur fra le piaghe, difficilmente eliminabili, dell’affollamento urbano, dell’analfabetismo, della delinquenza, della camorra, delle epidemie (colera del 1884); mali combattuti e in parte sanati con provvedimenti vari (sventramenti edilizi, istituzioni popolari, acquedotti, incremento del porto e delle industrie). Durante la Seconda guerra mondiale la città fu colpita da oltre 120 bombardamenti aerei e gravemente danneggiata; fu occupata dagli Alleati il 1° ott. 1943, dopo che quattro giorni d’insurrezione popolare avevano imposto la capitolazione al presidio tedesco. Nel dopoguerra la crescita della città è stata segnata da un abnorme sviluppo edilizio, legato anche a pesanti speculazioni.

Quattro giornate di Napoli

Insurrezione popolare scoppiata a N. durante la Seconda guerra mondiale (25-28 sett. 1943); dopo quattro giorni di combattimenti la popolazione riuscì a imporre la capitolazione al presidio tedesco, per cui gli Alleati, al loro arrivo in città il 1° ott. 1943, la trovarono già liberata dalle forze di occupazione naziste.

Vedi anche
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